Il quartiere Coppedé di Roma e i suoi simboli massonici
Andrea Cionci
“Omen-Il Presagio”; “Inferno”; “La ragazza che sapeva troppo”; “L’uccello dalle piume di cristallo”: sono diversi i film horror a sfondo demoniaco e i gialli che sono stati girati nel “Quartiere” Coppedé di Roma. L’archeologo Carlo Di Clemente, presidente dell’Associazione Roming, ha appena compiuto approfondimenti sui simboli schiettamente massonici di cui sono affollati i circa 45 tra palazzi, edifici vari e villini disposti intorno al nucleo centrale di piazza Mincio a Roma nel “vero” quartiere Trieste.
Quando nacque il comprensorio, nei primi anni ’20 da un piano regolatore del 1909 disegnato sotto il sindaco ebreo e massone Ernesto Nathan, l’insieme dei palazzi doveva essere destinato alla nuova borghesia impiegatizia postunitaria, ma, data l’altissima qualità costruttiva e i comfort di cui erano dotati i condomini (termosifoni, cucine a gas, impianti igenici), gli appartamenti furono accaparrati dalle classi alte e, tutt’oggi, ospitano in prevalenza studi di affermati professionisti.
Il suo artefice fu l’architetto quasi certamente massone Gino Coppedé (1866-1927) proveniente da una famiglia di apprezzati artisti fiorentini: il forte legame con la sua città natale spicca dai vari stemmi medicei che decorano, in modo decisamente inaspettato, il Palazzo degli Ambasciatori e il Villino delle Fate.
A parte la deliziosa Fontana delle Rane, al centro di Piazza Mincio (una sorta di rivisitazione in cemento (!) della Fontana delle Tartarughe di Giacomo della Porta) il “Quartiere” emana inequivocabilmente un che di luciferino e di corrusco che giustifica la sua scelta come naturale scenografia per pellicole noir.
Anni fa, prima della sua ripulitura, era ancora più opprimente nel suo insaziabile agglomerato di stili : Liberty, classico, bizantino, assiro-babilonese, medievale, gotico: in breve, supremamente eclettico.
La Vittoria alata – molto aggettante – che spicca dal torrione a sinistra dell’arcone di entrata voleva significare la supremazia di una nuova classe, una nuova borghesia “straniera” rispetto alla Roma dei papi e del tutto antagonista ad essa.
Nelle architetture sovraccariche, nei dettagli naturalistici manca infatti la teatrale, festosa solarità del barocco romano, così come le strutture sono prive di quella olimpica simmetria che nella Città dei Papi rievoca il rigore razionale romano e l’Ordine del Logos cristiano-cattolico.
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