Temi, squadra e tempi del governo. Le prime tre spine per il professore
alessandro barbera
A Città della Pieve, nel cuore nascosto della penisola, piove. E’ domenica, ma Mario Draghi non mette il naso fuori di casa nemmeno per un minuto. Non ha voglia di affrontare i cronisti fuori della proprietà, e non ha tempo. Nonostante abbia ricevuto l’incarico ormai da qualche giorno, nonostante un giro di consultazioni, il suo governo di unità quasi nazionale è ancora in alto mare. L’appello del presidente della Repubblica a unire le forze in un momento difficile non è arrivato bene alle orecchie di tutti. Prendiamo Matteo Salvini. Di buon mattino, in un’intervista alla radio, dice: «L’esperienza non è ancora iniziata, quindi non possiamo indicare la data di scadenza». Detta così, un assegno quasi in bianco all’ex banchiere centrale. Poi però aggiunge una frase che stravolge la prima: «E’ chiaro che un governo di ricostruzione come questo non può andare avanti all’infinito. Deve fare alcune cose come nel Dopoguerra fece Parri. Un governo con forze così diverse si mette d’accordo su alcune cose: piano vaccinale, fisco, infrastrutture, riapertura di scuole e attività». Per i cultori della storia, il governo Parri durò meno di sei mesi, dal 21 giugno al 10 dicembre 1945. Nicola Zingaretti, da sempre attratto dalla prospettiva del voto, nota le parole di Salvini con una certa preoccupazione. E così nel pomeriggio «fonti di largo del Nazareno spiegano: «Constatiamo che Salvini fissa una scadenza e pone un problema. Attendiamo la sintesi del presidente Draghi, ma maggioranza larga non vuol dire necessariamente stabilità». Ecco il primo nodo irrisolto del governo Draghi: la durata. Il Quirinale e l’ex presidente della Bce non vorrebbero far nascere un governo a scadenza, ma fra i suoi molti azionisti potenziali c’è già chi lo vede finire a primavera, fatte le poche cose ritenute urgenti: l’uscita dall’emergenza, il via a Recovery Plan e l’accordo per il nuovo Capo dello Stato. Dalla risposta a questa non banale precondizione ne discende una seconda: se del governo debbano far parte tecnici, politici, o entrambi. Nei primi giorni, quelli carichi di entusiasmo, nei palazzi non si parlava che del «modello Ciampi», il governo che nel 1993, in piena emergenza giudiziaria (non c’era giorno in cui un politico non ricevesse un avviso di garanzia) unì personalità di tutti i partiti, tecnici e non. Ora con più cautela si cita Dini, colui che nel 1995, dalle ceneri del primo governo Berlusconi, formò una squadra di soli tecnici. Nessuno dei due governi durò moltissimo: il primo 377 giorni, il secondo 487.
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