Una politica senza partiti

Non per il suo inizio – che una maggioranza la troverà di sicuro, poiché nessuno vorrà costringere Mattarella a un attacco alle forze parlamentari del tipo di quello memorabile di Napolitano quando venne costretto al secondo mandato -, ma nel proseguo della legislatura. Metter dentro capi o sotto-capi di tutti i partiti che votano la fiducia? Come potrebbe reggere una maggioranza simile? Non ci sono affatto le condizioni per un’esperienza come quella di Ciampi, e neanche per una riedizione di Monti (entrambe, peraltro, finite non proprio brillantemente). Se Draghi vorrà avere una maggioranza ampia, ma poi poter anche lavorare, dovrà, io penso, costituire una squadra di governo senza rappresentanti espliciti dei partiti. Il che non significa affatto, come abbiamo cercato di spiegare, “non politico”. Spero che il cattivo senso comune tipico della nostra patria, complice delle sue disgrazie, per cui il miglior politico è colui che nulla conosce al di fuori delle proprie buone o cattive intenzioni, sia in via di superamento, dopo le stupende prove che ha fornito.

Il problema concreto è: che cosa potrà fare il governo Draghi? Chiedergli quelle riforme di sistema la cui mancata realizzazione ingessa il Paese da oltre una generazione è velleitario. Su questo sono le forze politiche che dovrebbero pronunciarsi: abbiamo tutte fallito, lo riconosciamo, il governo Draghi è l’espressione esplicita del nostro naufragio, ci impegniamo a riorganizzarci in vista della prossima legislatura, e questa volta non scherziamo: vogliamo sia davvero costituente. Ma che cosa chiedere oggi a Draghi(ammesso non voglia condannarsi da sé mettendo insieme al Pd, oltre a Berlusconi, magari anche la Lega giorgettiana)? Essenzialmente: un piano di utilizzo del Recovery Fund che permetta davvero di prevedere un ritmo di crescita tale da sostenere l’aumento del debito che con esso e con le altre manovre tutte a nostro carico andiamo a contrarre. Questa è la missione fondamentale del governo Draghi. Ma essa presenta un aspetto tutto veramente politico: un piano di ristrutturazione e rilancio comporta di per se stesso un piano di distribuzione dei costi economici e sociali della crisi. La crisi sta moltiplicando diseguaglianze e iniquità di ogni genere. Un Recovery Plan degno di tale nome dovrà combatterle. E allora non potrà che essere un piano di politiche fiscali, di distribuzione del reddito. Dovrà operare scelte e decidere sul terreno più proprio, difficile e delicato dell’azione politica.

Potrà farlo? Sì, io penso, con un forte appoggio europeo. E su questo già si porrà il più netto discrimine tra chi vorrà o non vorrà sostenerlo. Sarà bene che Draghi lo espliciti fin dal suo discorso di apertura, così da rendere impossibili spuri sostegni, che ne ricatterebbero l’azione successiva. La Lega ha votato contro le misure per la condivisione europea del debito che gli Stati contrarranno per la crisi-Covid; a settembre hanno cercato di bloccare le sanzioni contro Putin e quelle contro Lukashenko per le violente repressioni in Bielorussia; a dicembre si è astenuta sul voto di bilancio che sbloccava i 209 miliardi del Recovery Fund per l’Italia, al grido di “basta col denaro che stampa la Bce”. Il nostro “popolo” dimentica con estrema facilità. Draghi su tali argomenti avrà senz’altro memoria da elefante. Mi auguro abbia altrettanta attenzione a sostegno di quella metà dei nostri concittadini che stanno pagando praticamente da soli il peso inaudito della crisi e per i quali non bastano i pannicelli caldi, quando arrivano, dei “ristori”.

LA STAMPA

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