La politica e il senso del futuro
Lo fecero molto meglio nei primi decenni della vita della Repubblica. Peggio in seguito, quando l’immobilismo fece degenerare la «repubblica dei partiti» trasformandola in partitocrazia. Ma anche allora la selezione, almeno in parte, continuò ad operare.
I partiti, nella prima fase, oltre a formare il personale parlamentare e di governo esprimevano continuità, di tradizioni e organizzative. Ed erano guidati dall’interesse a garantire la propria sopravvivenza. Pertanto funzionavano da meccanismi correttivi, contrastavano la naturale tendenza dei governi e dei Parlamenti ad amministrare solo il consenso immediato, a muoversi entro un orizzonte temporale ristretto. Da un certo momento in poi non riuscirono più a svolgere quella funzione, il meccanismo si inceppò. Il grande debito pubblico accumulato dall’Italia ne fu il principale risultato. Alla fine quel sistema dei partiti crollò e l’Italia si trovò nuda alla meta. Senza più forti partiti ma priva anche di un assetto istituzionale idoneo a compensarne la scomparsa.
Si può forse leggere così il lungo, faticoso, tentativo di trasformare l’Italia in una democrazia maggioritaria: non solo con una legge elettorale adeguata ma anche, come allora si ipotizzava e si sperava, con una riforma costituzionale in grado di dare stabilità e durata ai governi. Quel disegno, come sappiamo, fallì. Il risultato è che non disponiamo di alcun meccanismo che favorendo la durata e la stabilità dei governi spinga chi ne fa parte a porsi obiettivi di medio termine. A un ministro, per lo più, non conviene, dato che la sua aspettativa è di restare in carica solo per pochi mesi. Non è forse possibile che la mancanza di incentivi, politici e istituzionali, che obblighino i governanti a contemperare vantaggi di breve e di medio termine, abbia qualcosa a che fare anche con quell’impoverimento culturale di cui si è detto sopra? Bastano semplici mestieranti, non occorrono politici di qualità, se non è possibile dare all’azione di governo un respiro sufficientemente ampio.
Poiché però un Paese incapace di guardare al di là del proprio naso finisce prima o poi per sbattere contro ostacoli di ogni genere rischiando di rompersi le ossa, ecco che, periodicamente, occorre affidarsi a qualcuno che possa rimediare alla mancanza di lungimiranza, all’incapacità di agire in funzione del futuro, di chi ha governato solo fino a pochi giorni prima.
Torniamo alla finta alternativa fra governo tecnico e governo politico. La domanda è: Draghi riuscirà a dare vita a un esecutivo sufficientemente autonomo dai partiti che pure dovranno sostenerlo? Sarà una storia di successo solo se egli e i futuri ministri sapranno resistere alle pressioni dei tanti che agiscono come se il futuro non riguardasse nessuno. Nemmeno loro e i loro figli.
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