Mario Draghi comincia dalla scuola “Allungare l’anno per recuperare la didattica persa”

ALESSANDRO BARBERA

A chi gli chiede se il prossimo incontro sarà in Parlamento, risponde con un sibillino «vedremo». Mario Draghi è fatto così. Per lui, romanista di ferro, vale la nota battuta del più famoso allenatore della Juventus, Giovanni Trapattoni: non dire gatto se non l’hai nel sacco. Con la stessa prudenza che usava da governatore della Banca centrale europea durante le conferenze stampa a Francoforte, anche nel secondo giro di consultazioni non dice una parola fuori posto. È l’ora di abbozzare il programma, con la consapevolezza che una sola sfumatura può provocare conseguenze peggiori di uno scossone nel cambio fra euro e dollaro. Dice che occorrono tre grandi riforme: del fisco, della giustizia (civile) e della pubblica amministrazione, ma se ne guarda dal dettagliarle. Le cita perché quelle sono le tre cose che chiede l’Europa in cambio dell’enorme investimento sul Recovery Plan. La riforma fiscale «deve essere complessiva, disboscare la giungla delle agevolazioni e superare un sistema a macchia di leopardo». Dice che occorrono più investimenti, perché «nell’ultimo quarto di secolo sono sempre scesi e senza di loro, non c’è nessuna ripresa possibile», ma non indica i responsabili. Sottolinea l’urgenza di «intervenire rapidamente sul blocco dei licenziamenti», ma non spiega come. Si spinge oltre solo a proposito della scuola, abbastanza per creare scompiglio fra i presidi: per lui l’anno andrebbe lievemente allungato, così da permettere ai ragazzi delle superiori di recuperare la didattica persa nei mesi più duri della pandemia. Giannini: “La rivoluzione copernicana della politica: i sovranisti diventano europeisti e Grillo elogia Draghi”

La strategia di Mario Draghi è costruita per cerchi concentrici. Non parla di ministri, di poltrone, né tantomeno di formule di governo. Parla riservatamente al telefono con tutti, ma quando è attorno al ferro di cavallo della stanza messa a disposizione per lui alla Camera dei deputati manda anzitutto messaggi all’esterno. Propone un solido ancoraggio «all’atlantismo e all’europeismo», battuta che serve a spazzar via le ambiguità filocinesi e filorusse del primo governo Conte. Dice che quello del Recovery Plan è solo il primo passo verso «un bilancio e un fisco comune». Si sbilancia solo quando parla di imprese, proponendo di superare la logica dei contributi a fondo perduto a favore di investimenti sulla ricapitalizzazione delle aziende in difficoltà ma sane. Il primo dossier che avrà sul tavolo lasciato libero da Giuseppe Conte è un decreto di aiuti da 32 miliardi di euro.

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