Addio a Franco Marini, il sindacalista leader

Poi, ricordava le grandi battaglie sindacali,  Donat Cattin e Luigi Pastore, gli scontri con Romano Prodi, le battaglie nella Margherita, e quella volta che Francesco Cossiga mi disse, “Faccio senatore a vita Giulio Andreotti, così ti libero il collegio…” e ancora il sindacato, la grande famiglia in cui per tanti anni aveva vissuto e “che ancora non riesce a trovare la forza per reinventarsi di fronte alle sfide che la globalizzazione impone”. Argomenti ricorrenti durante le camminate in montagna. Franco Marini della montagna conosceva tutto, tempi e segreti. Sapeva riconoscere l’arrivo della pioggia, della bufera: “è come per la politica, se capisci i tempi della bufera sai come riparati”. A meno che “decidi di isolarti….” Alla mia età, diceva, “non si può ricominciare…Ho provato a fare il primo (e lo indicava con il pollice), mi sono fermato al secondo”.

Il primo stava per Quirinale, il secondo per la presidenza del Senato che arrivò nel 2006 dopo una serie di scrutini proprio “contro” Giulio Andreotti votato dal centrodestra. Poi, dopo il voto del 2013 e con una maggioranza da inventare, la scommessa per il Colle: sette anni dopo la presidenza di Palazzo Madama. Amarezza in quei giorni ma nessun rimpianto: “Nessuno come me aveva ottenuto con 521 sì la maggioranza dei voti al primo scrutinio”. Insomma, bastava che il quorum scendesse… Invece, niente… “E’ andata diversamente…Mah, acqua passata” rispondeva a chi gli chiedeva. Per l’ex segretario della Cisl, infatti, ogni “fatto si apriva e si chiudeva, qualunque fosse il risultato”. E così è stato anche per il Quirinale. Certo è, che in quelle giornate ha conosciuto bene gli alleati e anche gli avversari, ma soprattutto ha capito chi fossero i traditori, tra i tanti che durante lo scrutinio lo chiamavano e lo andavano a trovare nel suo studio. “Li ho registrati tutti, uno per uno, – diceva – ma in politica ci sta…ognuno gioca la sua partita, di strada comunque ne abbiamo fatta…”. Eccome se ne aveva fatta: da San Pio le Camere in Abruzzo fino a Palazzo Madama. Senza salotti e prime serate: da presidente del Senato non aveva mai dormito una notte nell’alloggio di servizio e quando dopo la fine del suo mandato i commessi di Palazzo Madama gli chiesero di poter appendere il suo ritratto nella sala dei presidenti rispose secco, “mai e poi mai fin quando utilizzerò gli uffici”. Con il risultato che anche chi arrivò dopo di lui fu costretto ad adeguarsi. Ora Franco Marini è uscito definitivamente di scena. Restano i suoi discorsi, le sue iniziative politiche, le battaglie sindacali, ma soprattutto i suoi ricordi come quando chiese udienza a Giovanni Paolo II perché intercedesse sul Cile di Pinochet per far liberare dal carcere il sindacalista Manuel Bustos. “Il Papa ci ricevette, ricordo che prese un piccolo biglietto e con una piccolissima matita appuntò solo qualcosa…Poi, silenzio, e chiese a me e a Giorgio Benvenuto come era la situazione del sindacato in Italia. Uscimmo – ricordava Marini – quasi disorientati…A Benvenuto dissi che il Papa sa quel che fa, e Bustos qualche giorno dopo fu liberato…”. Certo, altri tempi ma quelle erano le battaglie in cui credeva Marini, quelle nella quali silenziosamente poteva dimostrare la sua grande generosità. Una generosità grande ma che proteggeva morbosamente e che gli dava grande sollievo e speranza. In fondo, in fondo ripeteva, “spero e penso” che “quando sarò davanti al Padre Eterno, lui chiuderà un occhio…”. Buon viaggio Franco Marini.

LA STAMPA

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