L’Italia appesa a “Rousseau”
massimiliano panarari
L’eterno ritorno. Per l’ennesima volta, questo Paese si ritrova appeso alla sentenza dei militanti del Movimento 5 Stelle. Un’entità metafisica e un feticcio (al pari della fantasmatica visione grillina della democrazia diretta) di cui è impossibile conoscere consistenza numerica e reale rappresentatività. Eppure siamo ancora tutti qui a domandarci cosa uscirà dalla piattaforma-Pizia (retoricamente intitolata a Jean-Jacques Rousseau, incolpevole almeno di questo). Il sistema operativo, quintessenza del modello (pseudo)partecipativo del partito-movimento, che ora – alla luce del consumarsi di una rottura profonda tra i vertici pentastellati e Davide Casaleggio – si è pure fatto un po’ ingombrante. Ma che rimane comunque, a quanto pare, un Moloch al quale sacrificare (per finalità di marketing politico) un passaggio delicatissimo della drammatica vicenda pubblica italiana, alle prese con la triplice crisi sanitaria, economica e sociale. Ma chissenefrega, rumoreggia la corrente grillina antisistemica, se Parigi val bene una messa, il nascituro esecutivo Draghi dovrà ben sottoporsi alle forche caudine “russoviane”. Ulteriore segno di un’anomalia irrisolta, che condiziona in maniera sostanziale la vita pubblica nazionale a partire dall’esito elettorale del 4 marzo 2018, con la prima formazione politica rappresentata in Parlamento che ha continuato bellamente a rigettare la propria istituzionalizzazione, e non è riuscita neppure a completare la sua partitizzazione (rimanendo dalle parti del «non-partito»). Un Movimento prigioniero del rifiuto delle correnti interne – che invece ci sono, eccome, e da parecchio – nel nome di una finzione monistica di unità interna assoluta, quando invece proprio un dibattito trasparente e alla luce del sole tra posizioni differenti sarebbe stato salutare per la sua maturazione politica.
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