I partiti e le regole: se la politica cambia rotta
Gli obiettivi più condivisi del «piano di ripresa», le grandi riforme, richiedono anche essi che il governo duri fino alla fine della legislatura. Un esempio è la riforma amministrativa. I soli tre obiettivi minimi di essa richiedono almeno due anni per essere realizzati. Mi riferisco al ridisegno di un centinaio di processi di decisione, per liberarli dai lacci; alla introduzione di un «fast track» che porti nel funzionamento dello Stato un congruo numero di tecnici e manager; alla soppressione di controlli preventivi e responsabilità sproporzionate per chi decide. Quindi, nel valutare i tempi, non bisogna perdere di vista quel che occorre fare.
La terza condizione del successo dell’esperimento in corso è di non agitare miti vuoti, che potrebbero domani riempirsi di contenuti pericolosi. Il leader della Lega, una volta sovranista appassionato, nel discorso della svolta, il 6 febbraio scorso, ha dichiarato che occorre «difendere l’interesse nazionale italiano, un’azienda italiana, una spiaggia italiana, il mare italiano, l’agricoltura italiana». Tutti buoni propositi. Nessuno, nel mondo globalizzato, si aspetta che gli Stati agiscano contro il proprio interesse. Solo che l’interesse nazionale va definito. Quando la Cina entrò nell’Organizzazione mondiale del commercio e venne immesso nei mercati il tessile cinese, i produttori nazionali protestarono. Tuttavia, i consumatori (e con loro le grandi catene di distribuzione) si giovarono molto della concorrenza di prodotti a più buon mercato. Proprio grazie a questi conflitti progredisce la globalizzazione. L’interesse nazionale non scompare (come in un condominio non evapora quello dei proprietari), ma si ricompone.
Agitare il mito sovranista quando la sovranità non esiste più da tanti anni, mentre la dimensione europea rappresenta la massa critica minima per essere ascoltati nel mondo; quando il debito degli Stati dipende dal «rating» dei mercati mondiali; quando senza un mercato più ampio le nostre imprese esportatrici fallirebbero; quando senza il riconoscimento universale di un minimo di diritti condivisi non potremmo neppure mandare i giovani a studiare all’estero; quando non si potrebbero affrontare i problemi mondiali (il riscaldamento del pianeta, il terrorismo globale, l’inquinamento degli oceani, i fenomeni migratori) senza accordi globali, costituisce, nello stesso tempo, un’ingenuità e un pericolo.
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