Governo Draghi, il via libera dei partiti fragili
Anche perché non hanno spiegato come mai un dicastero ai loro occhi così fondamentale non sia stato istituito da ben due esecutivi a guida grillina. Ma è inutile indugiare sul passato. Sono contraddizioni e cascami di una legislatura apertasi nel segno del populismo, e avviata a un finale nel quale il sistema politico si ritrova di fatto commissariato per incapacità di esprimere una maggioranza parlamentare. Si avverte con nettezza il timore non tanto di quanto sta per concretizzarsi, ma dei contraccolpi che produrrà nei prossimi mesi.
Quando il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, invita a non dare spazio a chi vuole destabilizzare il partito, dice quello che tutti i leader temono a proposito del proprio; e delle proprie leadership. Il governo Draghi è chiamato a far tornare alla normalità un’Italia segnata dall’epidemia del coronavirus, e a non buttare via l’opportunità dei fondi europei. All’interno di queste due colonne d’Ercole, tuttavia, si indovina un’evoluzione che sembra sfuggire al controllo e alle previsioni di chi dovrà accompagnare la nuova fase ed esserne protagonista.
L’inquietudine nasce proprio da questa sensazione di precarietà: nessuno sa se ne sarà davvero protagonista o solo comparsa; o, peggio, vittima inconsapevole. L’ampiezza del consenso parlamentare di cui Draghi godrà ha permesso ai suoi avversari più o meno scoperti di insinuare dubbi sulla coesione del governo; di fatto, di considerare l’assenza di pregiudiziali chiesta da Mattarella come un limite. Eppure, è un po’ singolare che riserve e obiezioni arrivino anche da chi in questi due anni è stato l’emblema di un trasformismo spregiudicato e nell’ultimo tratto fallimentare; e ha aperto la strada alla soluzione che si va profilando.
Non si vuole prendere atto che sarà Draghi, con una squadra calibrata sulla competenza e la credibilità, a fare la differenza e a bilanciare i dubbi legittimi su una maggioranza totalmente inedita.
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