Recovery, riforme e ripresa dell’export: così il Nord produttivo ha spinto Salvini

fabio poletti, francesco rigatelli

L’emergenza Covid e l’esperienza forzata dello smart working hanno spinto l’acceleratore sull’esigenza delle imprese di rinnovarsi per reggere al meglio la competizione internazionale. E’ questa la ragione per cui il Nord produttivo implora la politica perché il governo Draghi duri fino alla fine della legislatura e realizzi le riforme auspicate almeno da 20 anni. Come ricorda il rapporto della Fondazione Nordest entro il 2025 nelle aziende ci sarà più bisogno di competenze che di capacità fisica e gli operai dovranno farsi lavoratori «imprenditivi» capaci di nuove professionalità digitali.

In questa direzione va il contratto dei metalmeccanici firmato settimana scorsa. «Una piccola rivoluzione che cambia l’inquadramento del lavoro e ci fa attendere il governo Draghi con fiducia – racconta Alberto Dal Poz, presidente di Federmeccanica -. La pandemia ha reso evidente che il mondo è cambiato e servono nuove conoscenze. Nelle aziende bisogna dare spazio ai giovani e formare continuamente». Il primo scoglio sarà quello dei licenziamenti: «Un momento critico, per cui serviranno ristori per le aziende ferme come quelle legate ai voli aerei, ma anche sostegni al settore manufatturiero affinché possa mantenere i posti di lavoro. Il taglio del cuneo fiscale resta prioritario e ben venga un ministero per la Transizione ecologica, poi però incentiviamo chi fa componentistica a spostare la produzione verso idrogeno e batterie».

Da sempre attento all’innovazione, Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte, non perde tempo nelle definizioni di Draghi «di cui non si può che essere contenti. Dopo tre settimane di crisi di governo è il momento della concretezza e fa piacere che il presidente incaricato abbia ricevuto le parti sociali. Ora speriamo nelle riforme di cui si parla da decenni: pubblica amministrazione, giustizia e fisco per tornare un Paese normale, far ripartire l’export e dare un futuro solido al made in Italy».

Il tema dell’innovazione viene sentito anche nel Bresciano, dove Roberto Zini, vicepresidente di Confindustria Brescia, ha curato le trattative sindacali durante le chiusure: «L’incertezza non aiuta, a Draghi chiediamo stabilità e speriamo resti fino a fine legislatura per fare le riforme. I licenziamenti? Non si può creare un problema sociale, ma bisogna riformare gli ammortizzatori per stimolare nuove competenze. A Brescia un terzo delle imprese non trova le specializzazioni che cerca».

E se a Brescia sperano a Bergamo pregano, come Aniello Aliberti, presidente della Piccola Confindustria e vicepresidente di Confindustria Bergamo: «Preghiamo tutte le sere che il governo parta. Guardiamo con curiosità alle varie motivazioni dei partiti per sostenerlo, quando dovrebbe essere scontato. Il Recovery plan è un treno da non perdere e in Italia non c’è nessuno con le competenze e i rapporti di Mario Draghi».

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