Ne valeva la pena
Ne valeva la pena? La domanda, spesso iraconda, tachicardica, elettrizza il Paese e parla del Paese: ne valeva la pena? E cioè: valeva la pena di inchiodare a una crisi bimestrale il governo per poi ritrovarsi con Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte? E la piccola riflessione potrebbe chiudersi qui. Fine del rovello, fine dell’articolo. Se non altro per non umiliare troppo l’intelligenza già umiliata da un abuso di suffragio universale (per i giudici dell’istante: non sto contestando il suffragio universale, ma l’impiego dissoluto che ne facciamo), attraverso il quale abbiamo stabilito che le istituzioni sono una multiproprietà, si va e si viene, posso scendere sotto casa e dire al mio fornaio (per i giudici dell’istante: il mio fornaio è un fuoriclasse in fatto di rosette e pizza bianca, pura, altissima élite), ehi, ti va di fare il ministro dello sviluppo economico, tu che hai sviluppato così bene la tua attività? E quindi questo articolo parla alla nostra irresistibile, sesquipedale ridicolaggine: ne valeva la pena? Cioè, valeva la pena tutto ’sto casino per mettere a Palazzo Chigi l’unico fuoriclasse come tale riconosciuto all’estero (scrive Ugo Magri oggi sulla Stampa) al posto di un avvocato spuntato dal nulla della polvere accademica e della totale inesperienza e guidato dal funambolico portavoce al reality del comando? A me pare evidente che il problema non è la risposta, il problema è già nel porsi la domanda.
Se poi vogliamo indugiare più nel dettaglio (non troppo: sconfinare nel ridicolo è un rischio che si può correre, addentrarcisi sarebbe temerario), ne valeva la pena per vedere un governo spartito, nelle sue poltrone e sofà, e nei suoi ministeri in gran parte utili all’andante propaganda social, da partiti, correnti e sottocorrenti, con un equilibrio di bilancia per cui il nostro caro Massimiliano Cencelli, altresì detto Manuale, starà in brodo di giuggiole? Sì, ne valeva la pena, se poi i ministeri cruciali alla pianificazione degli investimenti del recovery, cioè i denari che dovrebbero servire all’Italia per transitare dal secondo al terzo millennio, se li tiene Draghi attraverso gli eccellenti tecnici che si è scelto (eccellente è concetto molto relativo, lo so, e del resto il mondo è pieno di gente che eccelle nel rompere l’anima, alla ricerca del massimo della perfezione e della purezza, che è immediatamente opera di demenza chimerica e totalitaria).
Perché poi questo è un paese devastato dal settarismo insufflato da superiorità antropologica, a chi gli vengono le bolle a pensare a un governo con dentro la Lega, a chi un governo con dentro Renato Brunetta, a chi un governo con dentro i cinque stelle, a chi uno con le zecche e a chi uno coi fasci. E va bene, nessuno è immune dal settarismo, ma almeno bisognerebbe provare a essere asintomatici. Per esempio a me qualche bollicina viene a pensare di non essermi ancora sbarazzato di Luigi Di Maio, ma poi il ragazzo è un tipo accomodante, malleabile, così giovane e già così disponibile, il vestito da Bankitalia ce l’ha da sempre, è un prezzo che posso pagare. E aggiungo che il nostro giornale è stato fiero avversario della Lega salviniana rozza, verbalmente violenta, intollerante, xenofoba, rinfocolatrice delle peggiori paure, antieuropea, ma bisogna avere rotto le lenti degli occhiali per non vedere che al governo ci è andata una Lega (con Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia e Erika Stefani) che con l’Europa ci ha sempre parlato, che con l’immigrazione ha un approccio molto più laico, che segue le esigenze modernizzatrici e competitive degli imprenditori del Nord, il famoso motore del Paese. Ne valeva la pena? No davvero, stiamo discutendo se ne valesse la pena?
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