Governo Draghi, i 5 punti forti (e quelli deboli) del nuovo esecutivo
Il fattore tunnel
Gli italiani approvano. Spingono Draghi non solo per il prestigio del suo nome. Ma anche perché hanno capito che non viene con le forbici (nonostante le abbia ostentate nel portapenne al tavolo delle consultazioni). Questo governo viene per vaccinare e viene per spendere. Viene per chiudere con la pandemia e iniziare con la ripresa. Viene per accendere una luce in fondo al tunnel, dopo un anno di buio, dolore e paura. È dunque naturale, quasi figlio della cronologia dell’emergenza, il consenso con cui è accolto. Gli italiani non volevano le elezioni, ma un governo. L’hanno avuto.
Il fattore Europa
È stata la pregiudiziale tacita nella formazione della squadra: dentro ci sono solo europeisti. Il Quirinale ha fatto valere il principio che lo spinse a dire di no a Savona al Tesoro, ai tempi del governo giallo-verde. Questo apre all’esecutivo le porte di Bruxelles. Senza contare che da fine settembre, con l’uscita di scena di Angela Merkel, Mario Draghi diventerà l’Obi-Wan Kenobi dei vertici europei, il più «vecchio» e saggio tra i leader, visto che cominciò a frequentare il club ormai dieci anni fa da presidente Bce. L’Italia potrebbe contare di più. Che la Forza sia con lui.
Il fattore manager
A differenza di altri governi tecnici, più ricchi di professori, in questo ci sono anche persone che hanno già governato organizzazioni complesse: non sanno insomma solo ciò che andrebbe fatto, ma come farlo. Colao, ovviamente (gira già una battuta velenosa: chiederà a Conte di presiedere una task force?); e Cingolani, organizzatore della ricerca sull’innovazione. Giovannini ha guidato l’Istat. Bianchi un assessorato regionale. Far passare un cammello nella cruna dell’ago della pubblica amministrazione resta però un miracolo. Si spera in Garofoli, alter ego a Palazzo Chigi.
Il fattore sviluppo
Una specie di «alleanza dei produttori» può nascere sull’asse tra il ministero dello Sviluppo, dove è andato Giorgetti, e quello di Orlando con cui il Pd, partito dei lavoratori, torna al Lavoro. Tra Lega e Democratici ci sono molte differenze ideologiche, ma più convergenze pragmatiche di quanto si creda sui temi di industria, licenziamenti, crescita. Sono anche le due sole forze politiche organizzate sul territorio in rappresentanza di interessi. Se si aggiunge il ritorno al governo di Brunetta, castigatore della burocrazia pubblica, il pendolo si sposta verso il Pil.
Il fattore tempo
Non è tanto, ma non è nemmeno poco per gli standard della politica italiana. A luglio comincia il semestre bianco, elezioni impossibili fino all’anno prossimo, giusto per garantirsi contro eventuali «cigni neri». E, se tutto va come deve andare, questa maggioranza potrebbe anche eleggere il futuro presidente della Repubblica, non vi diciamo chi, ma comunque una personalità intenzionata a proseguire sul programma di ricostruzione nazionale che si avvia oggi. Che duri quindi un anno o fino alla fine della legislatura, il Draghi I ha il respiro politico per potersi dare una missione.
Effetto delusione
Le aspettative erano così alte che sui social c’è già un po’ di delusione. Ci si attendeva il «dream team», ci sono 15 ministri politici. Ci si aspettava la parità di genere, ci sono solo 8 donne. Ci si aspettava facce nuove, Gelmini e Brunetta non lo sono. Ci si aspettava discontinuità, Speranza e Lamorgese sono il pacchetto di mischia del Conte II (a proposito, resterà anche Arcuri?). Il pubblico, si sa, è avido di novità. Draghi si è mosso con il bilancino, e va bene se serve a partire. Ma quanto di questo Cencelli autoimposto frenerà il cambiamento annunciato?
Effetto transizione
I grillini non sono usciti dal caos. Per quanto presentino Cingolani come un ministro
a Cinque Stelle acquisito (mentre Renzi lo ricorda alla Leopolda), il ministero per la Transizione ecologica non è così «Super» come era scritto nel quesito su Rousseau.
E infatti l’ala barricadiera chiede di ripetere il voto. I ministeri persi sono molti, Giustizia
in primo luogo, sono rimaste frattaglie, Di Maio agli Esteri con Draghi premier avrà ampia autonomia sull’Oceania. La stampa amica è diventata nemica. Che cosa sarà del partito di maggioranza relativa nessuno lo sa.
Effetto coalizione
Siccome sembrava impossibile mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, l’intesa era che ogni partito stringesse accordi non con gli altri, ma solo con Draghi. Avrebbe funzionato come una ruota, in cui tutti i raggi convergono al centro. Ma nei partiti del centrodestra c’è invece una certa irritazione per il trattamento ricevuto sui ministri, non solo non contrattati ma scelti in base a un codice semiologico: quasi tutti centristi, governativi o anti-sovranisti. Se finissero ostaggi della maggioranza, Salvini è pronto a scartare: in fin dei conti nella Lega comanda ancora lui (o no?).
Effetto Giorgia
La Meloni ha fatto il gioco più vecchio del mondo: scelto il cantone libero, se l’è preso in esclusiva. Ogni grande coalizione, anche la più robusta, crea sempre un’area del dissenso, potenzialmente anche ampia. La leader di Fratelli d’Italia aspira a rappresentarlo tutto, e da sola. Qualsiasi difficoltà del governo, le sofferenze del nuovo Salvini «europeista», un suo calo di consenso, potrebbero proiettarla nei sondaggi oltre quella soglia della scala Mercalli che provoca scosse nella maggioranza. Non dimentichiamo che in primavera già si vota nelle grandi città.
Effetto ritardo
Facciamo gli scongiuri, ovviamente: ma l’Italia e il mondo sono nelle mani di un virus, sensibile sì alle scelte del potere pubblico, ma non certo dipendente da esse. Vuol dire che una «variante» qualsiasi potrebbe inceppare la strada dei vaccini, o una terza ondata rallentare la macchina della somministrazione. Oppure ancora le tanto agognate riaperture potrebbero non arrivare così presto. L’investimento psicologico nel nuovo governo vive sulla speranza di uscirne. La depressione potrebbe essere il suo nemico numero uno.
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