Ora silenzio, per favore

di Beppe Severgnini

Questa rubrica, da vent’anni, si chiama «Italians». Non parla solo di loro, ma è intitolata ai nostri connazionali curiosi del mondo. Perché ci stanno, perché ci vanno, perché sanno che esiste. Mi chiedo, e vi chiedo: cosa si aspettano, all’estero, dal nuovo governo Draghi? Una rubrica domenicale non è il posto adatto per elencare le cose urgenti da fare in Italia. Meglio indicare una cosa da non fare: confusione.

  Per evitare la confusione non basta limitare gli obiettivi (sarebbe già molto). Non è sufficiente portare a termine i progetti, invece di abbozzarli e passare ad altro. Bisogna parlare meno. Ogni annuncio rimandato, ogni proclama evitato e ogni litigio schivato costituisce un successo. Questo non significa che noi — gli elettori — desideriamo essere tenuti all’oscuro. Vuol dire che non vogliamo essere frastornati da parole inutili.

  Questo invito è contrario al nostro interesse come giornalisti? Per nulla. Sui giornali, in radio e nei talk-show è giusto riferire e commentare cosa fa il governo, ma non è necessario che ci sia sempre un sottosegretario presente. Le interviste non vanno abolite: vanno limitate. I social servono per la discussione nazionale, non per la comunicazione istituzionale. È vero: sembra umanamente impossibile far peggio di Donald Trump, ma il personaggio deve servire da monito.

  Meno è meglio, anche in politica. L’invito non vale solo per i componenti del governo Draghi, ma anche per i loro referenti nei partiti, quando ne hanno. I leader — Salvini, Renzi e Di Maio su tutti — ci hanno abituato a una comunicazione torrenziale: tweet, post, foto, filmati, condivisioni, trasmissioni radiofoniche e televisive. Basta. I tempi sono troppo complicati per sprecare tempo, fiato ed energie.

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