Luna Rossa e la battaglia delle barche volanti

AUCKLAND, NEW ZEALAND - FEBRUARY 13: Prada Luna Rossa wins race one during day one of the Prada Cup Final...
AUCKLAND, NEW ZEALAND – FEBRUARY 13: Prada Luna Rossa wins race one during day one of the Prada Cup Final on Auckland Harbour on February 13, 2021 in Auckland, New Zealand. (Photo by Fiona Goodall/Getty Images)

Scafi sospesi sfreccianti a 90 km orari, 50 nodi pardon, rande tese come lame contro il cielo azzurro violento dell’emisfero australe, uomini in tuta di carbonio e casco, manovre subitanee, incroci proibiti, computer di bordo, alette laterali che fendono l’acqua.

Più che a Leonardo, che coi prototipi c’entra sempre, per risalire alla chimera delle barche volanti, viste magicamente all’opera in questa America’s Cup 2021, bisogna pensare al Lago Maggiore del primo Novecento, le acque cristalline, le Alpi innevate sullo sfondo. Come per ogni scoperta naturalistica che si rispetti, ci sono foto ingiallite a documentarne la comparsa, e il primo esemplare di idrottero, nome da insetto appunto, o idroplano, o (erroneamente) idrovolante, è lungo dieci metri, largo tre metri e mezzo, ha un motore Fiat di cento cavalli, due coppie di ali a prua e poppa, e sei persone a bordo. Così assemblati, tutti insieme, volano a circa 65 centimetri dal pelo dell’acqua.

Chi lo ha inventato, Enrico Forlanini, è uno di quegli uomini totali – ufficiale, ingegnere, pioniere dell’aviazione – che prima della specializzazione troppo spinta, univano saperi lontani e talvolta lasciavano pietre miliari lungo il progresso tecnologico. Per inciso, è anche il fratello del celebre pneumologo Carlo Forlanini, e la coincidenza è fatale considerato il virus respiratorio che giusto un anno fa emergeva negli ospedali della bergamasca per propagarsi lungo la val Seriana: Alzano e Nembro, strip industriale, arteria extraurbana in cui affluiscono quattromila lavoratori, 376 aziende, un fatturato da 700 milioni l’anno. Un sistema invitato allora a fermarsi, in nome della salute pubblica, e che a fatica arrestò i motori.

Frammento di quello stesso tessuto produttivo che ha tenuto al cospetto della pandemia, tanto che Dario Di Vico sul Corriere della Sera ha recentemente osservato come le fabbriche “rimaste aperte grazie al protocollo imprese-sindacati” hanno fatto sì che “le produzioni industriali rimanessero pienamente incastonate nelle grandi catene internazionali del valore dimostrando l’insostituibilità dei nostri fornitori”. Aspetto, sottolinea Di Vico, nient’affatto scontato: “le nostre imprese avrebbero potuto essere espulse” a vantaggio dei Paesi dell’Est Europa.

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