Un’identità in positivo (verso le prossime elezioni)

di Paolo Mieli

La prima vittima del passaggio di consegne tra Giuseppe Conte e Mario Draghi sarà molto probabilmente il sistema proporzionale di cui il presidente in uscita aveva annunciato la reintroduzione. Annuncio improprio dal momento che non spetterebbe al capo del governo stabilire quale debba essere il rapporto tra voto e seggi in elezioni politiche. Altrettanto impropria, sia detto per inciso, sarebbe stata la decisione di inserire tale modifica nel programma di governo. Adesso, con la nuova maggioranza allargata, sarà più difficile eliminare del tutto la piccola quota di maggioritario sopravvissuta alla legge del 1993 che porta la firma di Sergio Mattarella. Il che avrà come effetto sui partiti (che non vogliano essere penalizzati nell’assegnazione dei seggi uninominali) un ritorno allo spirito di coalizione. Questo dovrebbe indurre la politica a lasciar perdere le scaramucce dentro l’area di governo e a predisporsi fin d’ora alla competizione nelle elezioni che verranno subito dopo l’auspicata vittoria del fronte anti Covid.

Perché fin d’ora? Perché il primo confronto regolato da un sistema maggioritario si avrà già nella tarda primavera allorché si dovranno scegliere i sindaci di molte importanti città italiane. Sarà quella la prima occasione in cui si misurerà lo stato di salute delle coalizioni: il nuovo centrosinistra (composto da M5S, Pd, Leu e l’eventuale partito di Giuseppe Conte), il nuovo centrodestra (articolato su due partiti di governo, Lega e Fi, e uno di opposizione, FdI) e un nuovo centro in cui si fronteggiano i partiti di Matteo Renzi, Emma Bonino, Carlo Calenda, Giovanni Toti e altri minori. Destra e sinistra dovrebbero essere interessate a conquistare o riconquistare pezzi di questo centro e prevarrà chi riuscirà meglio anche in questa impresa.

Per avere una prospettiva di successo alle elezioni politiche, ai partiti che fanno parte dell’area governativa converrebbe tenere la loro competizione fuori dal recinto in cui operano i loro ministri. Dovrebbero comprendere la convenienza di considerare «tecnico» il loro essere in maggioranza e rinunciare — quantomeno fino al momento in cui la campagna vaccinale non sarà coronata da successo — ai «litigi identitari». Ora che sono quasi tutti sulla stessa barca, farebbero bene ad evitare le polemiche interministeriali e a dedicarsi a un rapporto in positivo con il loro potenziale elettorato. Elettorato che altrimenti scivolerà ancora una volta nell’antipolitica.

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