Nuovo lockdown, perché se parla in Italia? Cosa dicono i dati e cosa pensano i virologi
Tutti i dubbi degli scienziati
Alla luce di tutti questi elementi, diffusione delle varianti, campagna vaccinale in corso, curva epidemia che non scende ci si chiede se davvero l’Italia abbia bisogno di rinchiudersi come a marzo. Andrea Crisanti, virologo dell’Università di Padova , intervistato dalla Stampa non ha dubbi: «Ormai serve il lockdown, le zone rosse non bastano per contenere le varianti, andava già fatto a dicembre». Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ai microfoni della trasmissione L’Italia s’è desta su Radio Cusano Campus ha commentato: «Un lockdown totale per 2 settimane farebbe abbassare la curva per poter riprendere il tracciamento, altrimenti bisognerà continuare con stop&go per tutto il 2021». Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano dà ragione a Ricciardi «in linea di principio perché è sotto gli occhi di tutti che la faccenda delle Regioni colorate non ha funzionato». Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi di Milano è più moderato e vede il lockdown duro c ome opzione poco praticabile: «Da un punto di vista medico le chiusure sono la scelta migliore per tornare a controllare la malattia, recuperare il tracciamento e poter svolgere una campagna vaccinale con serenità, senza che gli ospedali siano intasati ma serve un compromesso perché intere filiere di lavoratori sono devastate e serpeggia grande ribellione sociale, bisogna valutare anche la sostenibilità di una chiusura così rigida». Proposte? «Dobbiamo stringere i denti ancora due o tre mesi, magari ritarando i parametri del passaggio delle Regioni da un colore e l’altro, istituendo zone rosse ah hoc nelle zone dove nascono focolai. Il sistema dei colori ha funzionato, ci ha permesso una mitigazione dell’epidemia, regolando la velocità come fosse acqua che scende da un rubinetto: non siamo scesi al di sotto dei 50 casi ogni 100 mila abitanti ma abbiamo rallentato un po’ la diffusione dei contagi. Siamo in una fase cruciale e anche la responsabilità personale è fondamentale: distanziamento, mascherina indossata correttamente, lavaggio delle mani e areazione dei locali difendono anche dalle varianti». Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova è molto critico. «Chiedere un lockdown generale è una misura barbara, senza razionale scientifico. Le soluzioni sono lockdown mirati, provinciali, localizzati, chirurgici e rapidi. Abbiamo Sardegna e Val D’Aosta quasi bianche e le trattiamo alla pari dell’Umbria? Per me non è corretto».
Roberto Burioni virologo e docente all’università Vita-Salute San Raffaele su Twitter scrive: «Il problema non si risolve con le chiusure che servono solo a guadagnare tempo. Si risolve con il vaccino. Adesso sbrighiamoci». Francesco Vaia, direttore dell’Inmi Spallanzani di Roma, ospite di RaiNews24 è contrario al lockdown generalizzato: «Vanno applicate con severità le misure che abbiamo. Un lockdown severo non serve, ma occorrono chiusure chirurgiche». «Un lockdown severo oggi, se certamente potrebbe apportare dei benefici in termini di prevenzione della circolazione delle nuove varianti di Sars-CoV-2 – dice Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano – sarebbe un disastro dal punto di vista psicologico, sociale nonché economico. Va tenuto conto anche del benessere della persona che non dipende solo dal successo nello sconfiggere il virus, cosa che certamente tutti auspichiamo, ma anche dalla capacità di trovare in questa battaglia una giusta misura» di restrizioni.
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