Modello Genova per il Recovery. Oggi il debutto con i leader del G7
ALESSANDRO BARBERA
ROMA. La libertà di dileguarsi nei momenti meno utili dei cerimoniali del potere non l’ha più. Tolta l’ora di pausa per la sanificazione, Mario Draghi ieri è rimasto inchiodato nell’aula di Montecitorio dodici ore. Oggi l’agenda è poco meno implacabile. Alle 11 lo attendono alla Corte dei Conti per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, nel pomeriggio dovrà essere davanti al computer per un collegamento zoom con i sei capi di Stato più influenti della terra in una riunione informale del G7. Due giorni fa, durante il discorso per la fiducia, il premier ha letto una frase sibillina: «Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo». Non è chiaro quanto tempo gli daranno i partiti al timone del Titanic Italia. Mario Monti ebbe giusto il tempo di evitare la collisione. L’iceberg di Draghi è più lontano, ma non è detto abbia molto più tempo.
Matteo Salvini, l’azionista di lotta e di governo della sua maggioranza, non passa giorno senza accender micce. L’ultima è sotto la poltrona del commissario all’emergenza Domenico Arcuri. Draghi, abituato ad andare per obiettivi praticabili, ha deciso che per ora rimane al suo posto. I primi cento giorni passano in fretta, e un avvicendamento rischia di essere un problema prima che un’opportunità. Lo si è capito dalle persone scelte fin qui e in alcuni dei passaggi del discorso sulla fiducia a proposito del Recovery Plan. «È già stata svolta una grande mole di lavoro. Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro entro la fine di aprile».
Il Recovery Plan è l’argomento attorno al quale Matteo Renzi ha costruito le premesse della crisi del Conte due. Il Recovery Plan è ciò che il mondo si attende Draghi non fallisca. «I progressi nell’attuazione sono lenti e faticosi», si leggeva ieri nelle minute dell’ultima riunione della Banca centrale europea. Ogni riferimento all’Italia è puramente voluto.
Draghi ha chiesto ai ministri di non perdere un minuto. Daniele Franco, il responsabile del Tesoro a cui il premier ha affidato la cabina di regia, ne ha già discusso con molti colleghi. I progetti ci sono, e d’altra parte la gran parte delle risorse sono vincolate dalla stessa Commissione europea. Il problema era e resta l’attuazione. «A Bruxelles non hanno particolare fiducia nella nostra capacità di spendere bene i soldi che ci hanno messo a disposizione», ammette un ministro che accetta di parlare solo sotto stretto anonimato. Per questo occorrerà replicare il «modello Genova», un concetto che spaventa i cultori della legalità ma alla base della ricostruzione in tempi da record di Ponte Morandi. Draghi aveva accennato la questione con discrezione durante le consultazioni, nella replica alla Camera è più preciso. Parla di «strumenti e meccanismi di carattere ancora troppo formali», dell’eccesso di adempimenti che «alimentano l’illegalità», di «semplificazioni con funzione anti-corruttiva» da attuare attraverso l’Autorità anticorruzione.
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