La partita di Mario Draghi sul capitale umano
Draghi ritorna spesso su questo punto segnalando che la trasformazione del modello di sviluppo richiede sempre più competenze nell’area ecologica e ambientale e in quelle digitali. E sottolineando che in Francia e in Germania un ruolo importante hanno anche gli istituti tecnici superiori che in Italia vanno potenziati. Qui si apre un capitolo italiano pieno di dualismi, tra i quali ne citiamo uno che fotografa l’Italia ben al di sotto della media europea per l’istruzione terziaria. Dei laureati fino a 34 anni s’è già detto. Aggiungo ora che tra i 25 e i 64 anni, solo il 62% ha un diploma, contro una media europea di quasi il 79%. L’Italia è sotto di 17 punti. Il divario si riduce sul lavoro in base al titolo di studio perché la percentuale di occupazione dei laureati tra i 30 e i 34 anni in Italia è (solo) 9 punti sotto l’Europa. Quindi il livello di studi favorisce l’occupabilità.
Innovazione: la scienza e la tecnoscienza.
Un altro aspetto del programma di Draghi è l’innovazione che egli affronta da vari punti di vista, tra i quali dominano quelli europei della transizione ecologica, della trasformazione digitale, della protezione della salute. L’innovazione è uno dei più difficili temi per la complessità che coinvolge la scienza di base e le applicazioni tecnologiche, le istituzioni e le imprese, le regole e i mercati, la società e l’economia. Tra le varie angolature privilegio qui la ricerca scientifica con riferimento alla quale Draghi afferma che “gli scienziati in solo dodici mesi hanno fatto un miracolo; non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno”. Ritorna poi sul tema affermando che “occorre investire adeguatamente nella ricerca, senza escludere la ricerca di base e puntando all’eccellenza ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale, per l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici”. Ciò significa che senza ricerca di base non c’è tecnoscienza, ma sono necessarie politiche durevoli e di lungo periodo. Consideriamone due spesso richiamati da gruppi di ricercatori e ricercatrici anche con proposte innovative che potrebbero servire per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I finanziamenti della R&S italiana rispetto alla media Ue e rispetto a Francia e Germania sono dati noti: 1,4% del Pil vs 2,1% dell’Ue (con Germania al 3,1% e Francia al 2,2%). Le risorse italiane vanno quindi molto aumentate, ma anche garantite nel tempo con investimenti programmati per dare certezze ai ricercatori e per connettere l’alta formazione alla ricerca. I ricercatori italiani sono eccellenti, ma spesso trovano difficoltà a utilizzare i fondi europei nelle istituzioni nazionali. Un esempio viene dai bandi competitivi dell’Erc dove siamo arrivati secondi dopo la Germania, ma nell’utilizzo in Italia passiamo dopo il decimo posto. Si ha così una migrazione a senso unico di cui si paga un prezzo immediato e un costo a lungo termine. Necessaria è anche una riflessione sui modelli organizzativi della ricerca. Il sistema pubblico (accademico e degli enti) necessita di interventi e semplificazioni perché troppo lento e complesso. Ma non può essere sostituito da qualche sbrigativa scelta privatistica anche se iniziative di partenariato tra pubblico e privato sono possibili e hanno avuto successi importanti in Germania come in Italia. Anche le “piattaforme scientifiche”, condivise a livello europeo ma valorizzate su base nazionale, sono cruciali sia per la scienza di base sia per le ricadute sulla tecnologia e sul tessuto socio-economico. L’Europa sta lavorando per sinergie. Confidiamo che anche su questa dimensione euro-italiana il Governo si attiverà perché siamo in ritardo rispetto a Francia e Germania.
Una conclusione: investire in conoscenza.
Questa conclusione è scontata, ma non metabolizzata in Italia nei processi decisionali e nelle convinzioni sociali. Il punto centrale è quello di riuscire a spiegare e a capire che gli investimenti in conoscenza hanno rendimenti e benefici multipli che durano nel tempo se sono regolarmente alimentati con risorse e con modelli organizzativi adeguati. Draghi ne è ben consapevole stando alla sua affermazione che “compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione, della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione”.
L’HUFFPOST
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