Crisi Covid, le conseguenze asimmetriche
di Federico Fubini
Non tutti i Paesi reagiranno con la stessa prontezza. L’urgenza di agire: sul Recovery il nuovo governo ha già cominciato a muoversi
Noi italiani siamo fatti come siamo fatti: quando la situazione si complica, di solito operiamo un transfer sul singolo chiamato a turno a farsene carico. Prima gli scarichiamo tutta la responsabilità di tirarci fuori dai guai, abbandonandoci a lui (e ora infatti Mario Draghi trionfa nei sondaggi). Poi, non appena la realtà presenta il conto, frapponendosi fra noi e una soluzione magica dei nostri problemi, gli diamo anche le colpe non sue. Gli diamo le nostre.
Ovviamente non tutti i leader sono uguali, uno non vale uno e non tutti sono altrettanto inermi di fronte all’artrite dell’amministrazione, alla miopia dei capipartito o all’opportunismo dei capi locali. Avere Draghi e molti dei suoi ministri nelle stanze del potere non è come avere la galleria di improbabili che ci è scorsa davanti agli occhi da un po’ di tempo in qua. Ma proprio le vicende recenti stanno lì a ricordarci che fra gli italiani la gloria rischia di passare in fretta, quando invece sarebbe utile che restasse il più a lungo possibile almeno sotto forma di rispetto e comprensione. Perché le riforme e il rimettersi in marcia di una collettività nazionale dopo anni tremendi, la missione per cui Draghi è stato chiamato, non sono un ingranaggio meccanico: non bastano una legge fatta bene o una generosa decisione di spesa. Dev’esserci il coinvolgimento psicologico di coloro che ne ricevono gli effetti, anche dopo la luna di miele. Dev’esserci il senso di far parte di una comunità in cui ciascuno comprende di non poter di separare fondamentalmente la propria buona sorte dalle difficoltà di milioni di altri. In questo l’Italia presenta un ambiente impervio e sappiamo bene che questa cornice civica e culturale è proprio ciò che in una società evolve più lentamente. Non cambia in un anno o due, perché noi italiani siamo e restiamo spesso ambivalenti verso la nostra stessa nazione. La amiamo ma non ci piace, ci incute anche un po’ di paura e ci porta a tenere sempre aperta mentalmente una via di fuga personale dal retro. Li conosciamo bene i gesti di quell’illudersi di poter divorziare dall’Italia. Per i giovani è l’emigrazione, per i meno giovani il portare i soldi in Svizzera: quanti di noi lo hanno fatto o ci hanno pensato almeno per un giorno in questi anni?
Draghi mercoledì in Senato ha pronunciato un paio di frasi da cui si intuisce che ha perfettamente presenti questi temi: «La crescita di un Paese non scaturisce solo da fattori economici – ha detto –. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e speranze». Non è solo questione di sondaggi, ma di capire che – cittadini, partiti, istituzioni – che siamo davvero tutti sulla stessa barca e ci conviene remare tutti nella stessa direzione se vogliamo arrivare in acque più tranquille.
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