Addio storytelling, ecco i silenzi istituzionali: così Draghi rivoluziona le parole del potere
A riprova dello «stile banchiere centrale» applicato anche al paradigma comunicativo, è arrivata infatti ad affiancare Draghi Paola Ansuini, ed è entrato nello staff quale consigliere per le relazioni con i media internazionali il giornalista Ferdinando Giugliano. Figure di elevata professionalità, e comprovata competenza (ex Bankitalia e con un solidissimo background internazionale), che fanno plasticamente intendere il tramonto del retroscenismo di palazzo per il periodo a venire. E, dunque, parleranno i fatti (insieme ai numeri), secondo il modello di una comunicazione, basata sull’essenzialità e declinata in termini di sobrietà, che poggia direttamente sulla dotazione di autorevolezza e credibilità di Mario Draghi. Una comunicazione per sottrazione, nella quale la discrezione e il riserbo – caratteristici dell’approccio alla governance delle istituzioni di regolazione dell’economia globale –, si sposano con il «discernimento», fondamento del modello educativo gesuitico (appreso da Draghi durante la formazione giovanile). Governo, Draghi: “Corruzione deprime l’economia. Non può mancare base di legalità e sicurezza”
Un «codice comunicativo» (che l’ex presidente della Bce vuole estendere ai suoi ministri) profondamente differente da quello degli inquilini precedenti di palazzo Chigi, da Matteo Renzi a Conte, passando (seppure in misura minore) per Paolo Gentiloni. Altrettanti governi nei quali, all’insegna di caratteristiche differenti, i registi delle macchine comunicative (in due casi su tre un campione del settore, Filippo Sensi) immettevano abbondanti dosi di spin, storytelling e politica pop nei flussi di informazioni in uscita, prodigandosi per orientare il newsmaking. E si tratta di quel format della comunicazione politica postmoderna che si ripropone dalla Parigi di Emmanuel Macron alla Londra di Boris Johnson, fino alla squadra tutta al femminile che cura l’immagine di Joe Biden, messo sotto taluni aspetti soltanto in standby dalla pandemia. Una comunicazione postpolitica (ed emozionale) da cui ha preso sostanzialmente le distanze solo Angela Merkel, che ha fatto spesso ricorso a dei “silenzi comunicativamente eloquenti”, utilizzandoli come formula prudenziale (e negoziale) per tenersi alla larga dalle issues divisive. E, difatti, nel Bildungsroman da decision-maker del nuovo premier italiano (di cui vari osservatori sottolineano alcuni tratti culturali “teutonici”) hanno giocato molto gli anni trascorsi a Francoforte. Governo, Giachetti a Draghi: “Come Ronaldo? Meglio, lei è come Totti”
Di questo nuovo genere di comunicazione c’è, dunque, un gran bisogno. Anche se, nondimeno, non va trascurato un rischio. L’allergia al sensazionalismo, alla cacofonia e alle derive della digital propaganda, infatti, non può tradursi in silenzio (ovvero blackout comunicativo). Perché in politica e in comunicazione il vuoto non esiste, e qualcuno potrebbe riempirlo mediante la misinformation o incrementando il tasso di incivility in rete. Per evitarlo, i media – corpi intermedi dell’informazione nell’età dell’ossessione disintermediatrice – risultano vitali (come ha mostrato, in primis, il loro ruolo di argini di fronte alla marea di fake news sul Covid). E lo è anche il presidio dell’ecosistema digitale (dove imperversa il populismo «anti-establishment») da parte del rinnovato registro comunicativo di palazzo Chigi. Rifuggire da un certo circo Barnum mediatico come dal teatrino della politica-spettacolo non equivale all’assenza e al silenzio totale. In una società democratica l’opinione pubblica deve poter contare su un flusso costante di informazioni riguardo le decisioni di chi regge le istituzioni (una consapevolezza che, del resto, emergeva in modo netto dal discorso della fiducia in Senato). E tanto maggiormente nel quadro emergenziale odierno, che si somma al contesto di «post-sfera pubblica» di questi ultimi decenni, dominati dalla frammentazione e dalle sue derive centrifughe. La costruzione di una relazione regolare (al medesimo tempo, continuativa e dialettica) con il mondo dell’informazione è, dunque, oggi ancora più indispensabile. E lo è pure una «comunicazione (persuasiva) interna» al governo di larghe intese, dal momento che per i partiti l’esecutivo Draghi rappresenta un autentico stress test. Da cui può derivare anche una positiva riconfigurazione del sistema politico, unicamente, però, al termine di un lungo percorso irto di ostacoli e bisognoso appunto di parecchia attenzione nel rapporto con i partiti della maggioranza. E, dunque, di un’alchimia – difficile, ma imprescindibile – tra una comunicazione davvero istituzionale e la comprensione delle aspettative della politica (come ben sa uno che della materia se ne intende, il capo di gabinetto del premier Antonio Funiciello).
LA STAMPA
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