L’imboscata ad Attanasio in strada, volevano rapire gli «uomini bianchi»

L’ambasciatore Attanasio non aveva un’auto blindata. Non aveva una vera scorta. Non indossava un giubbotto antiproiettile. Non c’erano bandierine italiane che ne identificassero la presenza. I congolesi e l’Onu gli avevano garantito che quella strada era tranquilla. E allo stesso tempo il governatore della regione, Carly Nzanzu Kasivita, ora dice di sentirsi «sorpreso» dalla missione e di non esserne stato informato in anticipo. Troppe cose non tornano. E chi e perché abbia ucciso l’ambasciatore — questo è chiaro dal primo istante —, non è solo materia d’indagine per la polizia congolese. I Ros sono già in volo per il Congo, la Procura di Roma ha aperto il fascicolo di rito. La Farnesina chiede un report dettagliato al Wfp e un’inchiesta Onu per chiarire su quali basi, la Rn4 fosse ritenuta sicura. Le domande sono da rivolgere alla già fin troppo criticata missione Monusco, qui dal 1999, oggi una delle più grandi e organizzate del mondo, un miliardo di dollari di budget, un’inefficacia assoluta coi suoi 16mila caschi blu: è stata l’Onu, attraverso il Wfp, a comunicare all’ambasciata italiana che non serviva una scorta armata. E questo nonostante in quell’area, chiamata «le Tre Antenne», tre anni fa siano stati rapiti due turisti inglesi. E nel parco Virunga, solo negli ultimi anni, siano stati uccisi duecento ranger. E sulla famosa strada 2 che attraversa il paradiso dei gorilla di montagna sia frequente che spariscano preti, contadini, volontari in cambio di riscatti da mezzo milione di dollari.

Un aereo militare riporterà a casa le salme dei due italiani. Come accadde per gli aviatori di Kindu, sessant’anni fa. Come fu nel 1995 per sei volontari di Lecco, massacrati allo stesso modo e nello stesso posto: una banda li sorprese a Rutshuru, proprio il villaggio che Attanasio cercava di raggiungere ieri, e dopo aver ammazzato l’autista sparò sugli altri. Morirono anche due bambini, quella volta. Proprio lì, proprio in quel modo. Ma quasi tutti se li sono dimenticati.

CORRIERE.IT

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