Dall’oratorio in Brianza all’Africa: “Luca donava la sua vita agli altri”
A Limbiate c’è un’atmosfera strana, sospesa fra disperazione e incredulità. Attanasio era l’espressione del cattolicesimo lombardo più tipico, fede e opere, l’oratorio come base, il volontariato come missione, concretezza e voglia di aprirsi al mondo. Uno dei migliori amici dell’ambasciatore assassinato («Il nome no, per piacere») ha fatto con lui il master all’Ispi dopo la laurea a pieni voti alla Bocconi. Attanasio prima aveva lavorato due anni alla McKinsey, poi ha scelto la carriera che aveva sempre sognato, quella diplomatica. «Ci conoscevamo dai tempi dell’oratorio di cui gli piaceva tutto tranne che giocare a pallone, l’unica cosa che non è mai riuscito a fare bene. Ma la sua vera passione era il prossimo. Attenzione: era buono, non buonista. Non si limitava all’empatia, passava ai fatti. Aveva delle idee ed era anche capace di realizzarle». Fino a rischiare? «Non credo sia mai stato imprudente. Era sempre consapevole di quel che faceva».
Una vita glocal, la sua. Il mal d’Africa l’aveva colpito fin dai tempi in cui era console a Casablanca, dove aveva incontrato Zakia. Poi l’aveva accompagnato in Nigeria. Lì non si trovava bene, «posso uscire solo in certi orari, e sempre scortato», raccontava. Infine era approdato in Congo, certo non una sede da diplomatici di lusso. Ma allo stesso tempo non dimenticava le radici, questo pezzo d’Italia magari anonimo ma di antica civiltà. Il sindaco, Antonio Romeo, è nel suo ufficio, affranto. «Mi ha mandato l’ultimo messaggio venerdì. Era felice perché il Comune era finalmente riuscito ad acquistare una villa storica per farci il Centro culturale. “Era il nostro sogno”, scriveva».
L’ambasciatore con la faccia da ragazzino dimostrava meno dei suoi 43 anni anche perché metteva la cravatta solo quando era necessario. Era impegnato in progetti di cooperazione internazionale concreti, non chiacchiere e distintivi. Per questo, l’anno scorso avevano attribuito a lui e alla moglie il premio Nassiriya per la pace. Il suo discorso suona come un testamento, o una premonizione: «Il ruolo dell’ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani, ma anche di contribuire al raggiungimento della pace. La nostra è una missione, a volte anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l’esempio». Racconta l’ex sindaco Raffaele De Luca, amico di famiglia: «Era in Congo da tre anni e mezzo, la regola è quattro, quindi si chiedeva già se gli avrebbero dato un’altra sede o richiamato a Roma. Ma avrebbe fatto bene ovunque».
Davanti al Municipio le bandiere sono a mezz’asta. In attesa del lutto cittadino si è già deciso di dedicare a Luca Attanasio il Centro culturale. Seduta a un tavolino del «Petit bistrot», davanti al Comune, una sua coetanea non riesce ancora a crederci: «Era una bella persona». E si capisce che è proprio così.
LA STAMPA
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