Fausto Gresini morto per Covid, aveva 60 anni. Da pilota e da manager ha fatto la storia del motociclismo
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«La notizia che non avremmo mai voluto darvi e che siamo costretti a scrivere. Dopo due mesi di lotta al Covid, Fausto Gresini ci lascia a 60 anni appena compiuti, Ciao Fausto». Così il Team Gresini annuncia la morte dell’ex pilota e manager della scuderia di motociclismo che porta il suo nome, deceduto martedì mattina all’ospedale di Bologna dove era ricoverato dal 27 dicembre. L’ex campione del mondo della 125 (due titoli nel 1985 e 1987) e team manager fra i più bravi, vincenti e famosi del Motomondiale sembrava essersi ripreso, ma aveva subito un improvviso peggioramento delle condizioni una settimana fa.
Un punto di riferimento
Per tutti era Fausto. Semplicemente Fausto. Nel paddock, che ha percorso per 38 anni, prima come pilota e poi come affermato manager, era un riferimento unico. Fausto conosceva tutti i piloti, alcuni dei quali aveva affrontato in pista, altri li aveva invece lanciati, accuditi, portati al successo. Fausto conosceva tutti i segreti del Circus iridato. Conosceva tutti i giornalisti per i quali era una miniera d’informazioni. Perché nulla gli sfuggiva, perché spesso era lui stesso il baricentro dei discorsi. Fausto faceva notizia e in ogni caso sapeva ciò che serviva sapere prima degli altri.
Due titoli mondiali
Forse fu più famoso nella seconda parte della sua carriera, ma è un’asserzione opinabile. Come pilota vinse due titoli in 125 (1985 e 1987) negli anni in cui l’Italia regnava nelle piccole cilindrate e aveva appena ritrovato un ruolo da protagonista in 500 con Lucchinelli e Uncini. Affrontò il re indiscusso della categoria, il 13 volte iridato Angel Nieto, ma i suoi avversari principali furono i connazionali: Pier Paolo Bianchi, Ezio Gianola, Luca Cadalora e infine Loris Capirossi.
Fausto Gresini con Loris Capirossi
Il rapporto con Capirossi
L’imolese fu il punto di svolta. Il loro incontro segnò la carriera di entrambi. Approdato alla Honda a fine carriera, Gresini aiutò il debuttante Loris a imporsi sulla scena. Da buon compagno di squadra e ormai fuori dai giochi iridati gli coprì le spalle nella gara che diede all’esordiente Loris il primo titolo mondiale nel ‘90. In Australia fece il diavolo a quattro tanto da prendersi persino i pugni sul casco da Spaan pur di aiutare Capirossi. Anni dopo, smessa la tuta, Fausto seguirà Loris nell’avventura in 500. Nel ’95 divenne il suo osservatore speciale, oggi si direbbe il «mental coach» (figura rilanciata da Cadalora con Rossi). Il seme di una carriera da manager fu lanciato in quell’esperienza e messa a fuoco nel ’96: un mini team nel garage di casa e gli amici del bar per far correre un ragazzino nel Trofeo Honda. «A un certo punto della mia carriera dovetti scegliere se diventare un vecchio pilota o un giovane manager»: nel ‘97, sfruttando il vuoto lasciato da Pileri, debuttava il team Gresini con Alex Barros, una Honda 500 e il sostegno della filiale brasiliana della casa giapponese.
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