Mascherine Ffp2, il test choc: «Modelli “certificati” si rivelano quasi tutti non a norma»
di Marco Angelucci e Cristina Marrone
BOLZANO — Un anno fa erano sconosciute, oggi sono diventate indispensabili. Almeno in Alto Adige dove le mascherine Ffp2 sono obbligatorie per entrare nei negozi e nei luoghi chiusi. Più costose delle normali mascherine chirurgiche, le Ffp2 (o Kn95) possono arrivare a costare anche più di 2 euro. Tuttavia la maggior parte di quelle in commercio non hanno le caratteristiche delle Ffp2. La denuncia arriva da una società internazionale che si occupa di import export sull’asse Italia-Cina. «Da quando è iniziata la pandemia — raccontano i due legali rappresentanti, entrambi altoatesini — si sono moltiplicati i clienti che vogliono importare dispositivi di protezione dall’Asia. Il punto — avvertono — è che la maggior parte del materiale in commercio non corrisponde alle certificazioni». La società ha fatto infatti fare una serie di test che sono stati controllati anche da un laboratorio. La maggior parte delle mascherine infatti non ha superato la prova del cloruro di sodio e dell’olio paraffina (utilizzate per verificare il filtraggio) e alcune non sono state nemmeno in grado di contenere il respiro.
«Il messaggio che vogliamo lanciare è di fare molta attenzione alla merce che si trova sul mercato: in questa fase una buona mascherina può fare la differenza tra la vita e la morte. Specialmente in luoghi come le case di riposo, gli ospedali o i servizi sociosanitario. O le scuole visto che esistono anche linee per bambini» proseguono i titolari che stanno cercando di capire come sia possibile che simili prodotti arrivino sul mercato. Il risultato è stato che la maggior parte dei dispositivi difettosi — sono circa una ventina i modelli testati — è stata certificata con il marchio CE2163. Il codice è quello della Universalcert un laboratorio di Istanbul, in Turchia. Questo accade perché le mascherine, ma anche altri dispositivi medici come tamponi antigenici o test sierologici seguono un percorso di autocertificazione europea senza alcun controllo a monte.
«In sostanza chi produce mascherine e le vuole vendere in Europa deve rivolgersi a un laboratorio europeo accreditato per la certificazione. La documentazione va quindi inviata all’apposito ufficio della Comunità europea dove viene rilasciato il marchio CE. A questo punto tutti gli stati membri sono autorizzati ad acquistare le mascherine» spiega Pierangelo Clerici, presidente dell’ Associazione Microbiologi Clinici italiani . Gli eventuali controlli, comunque non obbligatori, di competenza dell’ Istituto Superiore di Sanità o del Ministero della Salute, sono in genere affidati ai Politecnici o a Istituti di Fisica delle Università che possiedono le strutture e le tecnologie per valutare il reale filtraggio delle mascherine, ma oggi sono derogati per lo stato d’ emergenza e non vengono svolti.
Inoltre l’Inail, tramite procedura d’ urgenza attivata per favorire l’approvvigionamento di mascherine, può autorizzare alla commercializzazione presidi fabbricati in Cina altrimenti non validi in Europa. L’Inail non ha l’ obbligo di verifica ma solo di rilasciare parere in deroga. «Purtroppo non esiste un percorso di controllo a livello centrale» aggiunge Clerici che auspica la creazione di enti equivalenti all’Ema in Europa e all’Aifa in Italia che certifichino quando dichiarato dal produttore, come succede con vaccini e farmaci.
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