L’uomo che parla con i fatti

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Quando parlerà Draghi? si chiedono sgomenti i cronisti di Palazzo, in attesa che il premier pronunci il suo primo discorso alla nazione. “Mai”, è la risposta corretta, “sempre” è quella giusta. Il presidente del consiglio ha parlato anche ieri, solo che non ha aperto bocca. Ha semplicemente licenziato Arcuri. Nei giorni scorsi, sempre senza rilasciare mezza dichiarazione, aveva cambiato il capo della Protezione civile, dato sempre più poteri a Gabrielli, incontrato per la prima volta gli altri leader europei mettendo sotto accusa le case farmaceutiche che non rispettano i patti. Nella formazione del governo, aveva scelto direttamente i ministri che ai suoi occhi contano, senza chiedere ai partiti.

A due settimane dall’esordio del suo governo, ecco quindi il famoso stile Draghi di cui tanto si è favoleggiato. Quello da banchiere centrale, gente che tradizionalmente parla solo con la moglie, e forse poco anche con quella, gente abituata a misurare parole ed effetti speciali. Uno stile che comunica con il silenzio, lavora di sottrazione, parla per atti ufficiali, alla tedesca. Lo sapevamo, l’avevamo messo nel conto, forse lo volevamo anche. Dopo anni di “roccocasalinate”, ansiogene dirette tv, gigioneggianti passeggiate per via del Corso, proclami per annunciare un annuncio, like sul niente, sentivamo il bisogno di uno stile più austero. Chissà, forse sarà lo spirito del momento ma l’impressione è che gli italiani avessero, abbiano, poca voglia di scherzare e di gente che va in tv a fare i giochi di prestigio con le parole non ne vogliano proprio sapere. La scelta di Draghi appare quindi naturale da una parte, perché corrisponde alla sua natura riservata, ma anche studiata, perché consapevole, o per lo meno fiduciosa, di corrispondere a ciò di cui il Paese chiede.

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