Destra, centro, sinistra alla prova della coesione

di Paolo Mieli

La nascita del governo presieduto da Mario Draghi ha già avuto conseguenze non irrilevanti sul sistema politico italiano. Il centrodestra ha trovato la via per restare unito nonostante due partiti (Lega e FI) siano entrati in maggioranza, mentre uno (Fratelli d’Italia) è rimasto all’opposizione. E, almeno per il momento, l’alleanza regge. Il centrosinistra, nelle rilevazioni demoscopiche, è addirittura cresciuto come conseguenza della designazione di Giuseppe Conte alla guida del M5S. È vero che nei sondaggi il campo progressista ha conosciuto l’espansione in virtù esclusiva di un balzo in avanti del movimento fondato da Beppe Grillo (mentre il partito di Nicola Zingaretti ha registrato una notevole flessione). Ma l’insieme è aumentato di due o tre punti e adesso il partito grillino insidia il primato di quello guidato da Matteo Salvini. Laddove, a conclusione dell’esperienza di governo del 2018-2019, la Lega aveva doppiato il M5S sottraendogli la metà dell’elettorato. E non è che l’inizio. D’ora in poi destra e sinistra dovranno, se vorranno, contendersi il centro popolato da formazioni (quelle di Matteo Renzi, di Carlo Calenda, di Emma Bonino) tra loro non concordi ma dimostratesi nella recente crisi di governo dinamiche. E, in aggiunta, ad esse collocheremmo anche Forza Italia che ha ritrovato un imprevedibile ruolo di un qualche rilievo.

Apparentemente il partito di Silvio Berlusconi fa parte del centrodestra e ogni discorso potrebbe chiudersi qui. In realtà Forza Italia è rimasta nell’area a cui venticinque anni fa diede vita forse anche per qualche confusione nel fronte opposto. Dicevano M5S e Pd nell’estate del 2019 di aver messo in piedi un governo per l’Europa «nel nome di Ursula» avendo trovato l’intesa, appunto, dopo aver votato in luglio per l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Ma non spiegavano come mai non avessero coinvolto nell’operazione Forza Italia la formazione nostrana che fa parte dei popolari europei a cui la von der Leyen appartiene. Strano, no? Fu subito evidente che M5S e Pd, pur dichiaratisi convinti «ursuliani», non volevano aver niente a che fare con Berlusconi. La contraddizione si è ripresentata qualche settimana fa quando si è giunti all’ora del giudizio per il Conte 2. Nel momento in cui Renzi legittimamente si chiamava fuori, i contiani — sempre in nome dell’Europa — avrebbero dovuto rivolgersi apertamente a Berlusconi, scusarsi per la dimenticanza dell’estate ’19 e chiedergli di unirsi a loro. Non è detto che la risposta sarebbe stata un sì ma il gesto avrebbe avuto una sua importanza. Invece hanno preferito andargli a rubacchiare qualche senatore sotto la guida esperta di parlamentari che da quel mondo venivano: Bruno Tabacci e Clemente Mastella. Risultato: una brutta figura dopo la quale si ritrovano al governo assieme a Berlusconi (e perdipiù a Salvini). Ma è presto per parlarne.

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