Destra, centro, sinistra alla prova della coesione

Verrà il tempo in cui sarà possibile ricostruire la storia del disarcionamento di Conte e della nascita del governo Draghi. Una storia con alcuni protagonisti che si sono mossi alla luce del sole (Renzi, le destre, i centristi) e altri che hanno dato una mano dall’interno dello schieramento votato alla sconfitta. Qualcuno tra i perdenti mormora — anche in pubblico — parole come «complotto», «ordito», «congiura». Ma regolarmente questo qualcuno si ritrae al momento di indicare i nomi dei cospiratori che avrebbero agito in campo contiano. Anche perché probabilmente dispone solo di prove indiziarie o induttive. È un fatto però che per alcune settimane, oltre un mese, Renzi nelle sue contestazioni a Conte fu sostenuto da un discreto consenso dall’interno sia del Pd che del M5S. E quel consenso diede un contributo fondamentale a che tutto andasse in frantumi. Su queste macerie è nato il governo Draghi.

Gustavo Zagrebelsky in un’intervista a Silvia Truzzi per Il Fatto Quotidianoha acutamente osservato che «la forza di un governo dipende dalla coesione», in assenza della quale un esecutivo «nasce tarlato fin dall’inizio». Giustissimo. L’ex presidente della Corte Costituzionale ha però poi definito «piuttosto stupefacente» che nella formazione dell’attuale maggioranza «nessuno abbia detto a qualcuno, in nome della coesione: no, tu no». E qui non si capisce chi «in nome della coesione» avrebbe dovuto dire «no, tu no». Solo chi dispone di una maggioranza sia alla Camera che al Senato ha la facoltà di dire «no, tu no». Se non si ha quella maggioranza, o si va ad elezioni oppure la parola d’ordine diventa «accomodati, prego e grazie infinite per esserti unito a noi». Una terza opzione non è data. Neppure al capo dello Stato.

Dopodiché adesso c’è tutto il tempo per trovare — a destra, al centro e a sinistra — la coesione di cui saggiamente parla Zagrebelsky. E per sottoporla, quando sarà, al giudizio degli elettori così da farsi da loro assegnare un insieme di parlamentari congruo a governare il Paese. In questo modo, sulla base di un congruo numero di deputati e senatori conquistato nelle urne, si potrà dire a quelli del fronte avverso «no, tu no». O, in assenza di consenso e coesione, sentirselo dire.

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