Gianni Cuperlo: “Congresso Pd presto”
Non sono io che eludo la domanda, è lei che elude la risposta. Il sostegno che ha scortato Giuseppe Conte fuori da Palazzo Chigi è stato il frutto del lavoro collegiale dell’ultimo anno. Lasci da parte la propaganda, quella sappiamo farla tutti. Basta mettere in fila banchi a rotelle, primule e ritardi nei ristori.
Non è propaganda, ma cronaca di errori e inefficienze.
Le ho appena detto che limiti, errori, ci sono stati, nessuno li nega e d’altra parte a chiedere sino dall’estate un cambio deciso di passo eravamo stati noi.
Infatti a palazzo Chigi se ne sono infischiati, perché capo dei Cinque stelle Conte lo è stato sempre, anche mentre voi avevate le allucinazioni e vedevate il nuovo Prodi. Cuperlo, abbia pazienza, diciamoci le cose come stanno.
Io pazienza ce l’ho, ma deve averla anche lei. Nessuno ha mai paragonato Conte a Prodi e sulle allucinazioni sono pronto, con lei, a sottopormi all’antidoping. Il punto è che se il consenso a quel governo ha retto sino all’ultimo è perché di fronte alla peggiore crisi economica e sanitaria dell’ultimo mezzo secolo si sono date risposte che hanno consentito a milioni di famiglie, lavoratori, pensionati, di reggere l’urto. Se non si riconosce questo è difficile spiegare il clima dei mesi alle spalle.
Scusi, ma lei continua a descrivere l’ultima fase come un Bengodi, purtroppo devo rammentarle che tutta questa efficienza e tutta questa abilità politica non sono bastate a far campare il governo. E c’è stato bisogno di un appello del presidente della Repubblica. In altri tempi, quando il vostro orizzonte non era il potere per il potere, quella proposta di Draghi al paese l’avreste fatta voi.
Non è bastato perché Italia Viva col suo tre per cento ha staccato la spina. Ma questo vuol dire che dovevamo cedere il passo senza tentare di sminare quell’assalto? Sinceramente non lo penso, era giusto mettere in chiaro chi voleva affossare il governo. Detto ciò lei solleva una critica che alcuni, anche dentro il Pd, condividono e che sarebbe nel non aver predisposto un piano B.
Si chiama politica: autonoma visione dell’interesse nazionale. Che va ben oltre un governo.
Potrei risponderle che a furia di piani B e C da tempo stiamo rinviando una chiarezza sul piano A, quello che investe la strategia della nostra visione per il dopo-pandemia. E allora, sincerità per sincerità, le dico che da quella rimozione derivano anche il fragile radicamento sociale del Pd, la diffidenza verso una classe dirigente percepita troppe volte come dotata di “mestiere” e orfana di “passione”. La conseguenza è un partito che oggi è forte nel Palazzo e assai più debole nel paese.
Forte nel Palazzo non so, debole nella politica, a proposito di piano A. Avete subito due governi, non pensa serve una riflessione sull’accaduto? Continuate a dire che è cambiato il mondo, ma non vi decidete neppure a convocarne uno di congresso.
Per parte mia non temo il titolo né lo svolgimento. Di più, credo che un percorso congressuale vada avviato presto.
Come, dove e quando? Cosa si aspetta che dirà Zingaretti all’assemblea del 13 marzo?
I tempi e le forme dovranno tener conto della pandemia, ma dinanzi a un cambio così profondo dello scenario rispetto solo a due anni fa un confronto è necessario. Aggiungo che da mesi stiamo discutendo in decine di incontri un documento (Radicalità per Ricostruire ndr) dove abbiamo indicato la rotta che dovrebbe avere una rifondazione del Pd.
È la sua mozione congressuale?
No, è un testo che sta aggregando persone diverse, in tanti casi esterne a noi, spesso deluse dal Pd che trovano sul loro territorio, dove si ragiona di nuovi diritti umani nel mondo e di quelli nel mercato del lavoro di casa nostra, di beni comuni, della funzione di uno Stato innovatore, del gender gap e di un modello di sviluppo fondato sulla dignità di ciascuno e non su un profitto senza etica. Si prova a declinare una politica industriale e una riforma della fiscalità a un quarto di secolo dall’ultima seria riscrittura del patto fiscale, si indicano i termini di un progetto educativo spalmato lungo il corso della vita e si mette al centro la lotta a mafie e disuguaglianze cominciando da quelle di nascita e di censo.
Di qui al congresso c’è il tema di come stare nel governo Draghi, nel quale l’unica cosa che si capisce è che ci state con disagio. Sarò ancora più chiaro: per voi questo è un governo di destra?
No, questo è un governo che sosteniamo con la consapevolezza che se fallisce il paese può conoscere una pagina buia. I dati sulla terza ondata sono allarmanti e la scelta di accelerare il piano di vaccinazione è una priorità. Sul fronte sociale sarà decisivo disinnescare il pericolo di una nuova ondata di licenziamenti e a presidiare quel versante c’è chi sa distinguere tra liberismo e riformismo. Quanto alla propaganda leghista sui migranti, al Viminale siede tuttora la ministra Lamorgese che i decreti Salvini ha superato.
Ma che ai giudici di Catania ha detto che c’è stata continuità tra la Diciotti e la Ocean Viking, a proposito di discontinuità del Conte 2. Cioè l’unico che non ha chiuso i porti è stato Minniti, però Minniti è rinnegato mentre Conte è progressista.
Noi vigileremo a che l’Italia non torni sul sentiero della disumanità e della violazione dei protocolli internazionali in materia di rispetto dei diritti umani. Detto ciò è evidente che in questa maggioranza a differenza di prima convivono forze e culture alternative, ma è esattamente la natura che mi spinge a definirlo un governo di scopo.
A proposito di politici che fanno più “mestieri”, il presidente dei vostri senatori, Marcucci, è tornato a chiedere le dimissioni da vice-segretario di Orlando. Lei è d’accordo?
La risposta l’ha data Zingaretti alla direzione dell’altro giorno. Orlando è al governo anche in quanto vice-segretario del Pd e ha il compito di rappresentare le nostre ragioni dentro una maggioranza quanto meno multicolore. Ho letto che Marcucci si preoccupa di un sovraccarico di lavoro per il ministro e questa è una vera gentilezza, ma lui proviene dalla cultura liberale e sottovaluta la tempra e il carico di fatiche a cui può sottoporsi chi proviene dalla tradizione dei comunisti italiani!
Fin qui il governo. Ma ora un’ultima questione, più di fondo. Questo partito è una confederazioni di correnti a vocazione ministeriale. Ha ancora senso o serve una cosa nuova. Se non sbaglio, in un suo libro, questa ipotesi la accennò.
Per me è fondamentale ripensare il Pd a cominciare dalle ragioni di quel progetto. Credo voglia dire rifondare democraticamente il suo modo di discutere, organizzarsi, selezionare la classe dirigente. Però tutto questo lo devi collocare in un disegno fatto di alleanze, e quelle non le costruisci solo dentro le istituzioni, quelle vivono nella società e nei conflitti che genera. A Milano, Pisapia e poi Sala non avrebbero vinto solo con i partiti, ce l’hanno fatta perché assieme a quelli si è mobilitato il civismo migliore, la rete delle associazioni, una griglia di personalità e un pezzo di popolo. Lo stesso era accaduto con il ruolo di Piazza Grande nel Lazio, così come nell’ultimo successo in Emilia Romagna, oltre ai meriti di Bonaccini, decisivi sono state le sardine e una spinta dal basso fatta anche dell’indignazione verso una destra aggressiva.
Lei mi sta elencando l’ennesimo programma di buone intenzioni di cui è costellata la cronaca.
Io le sto dicendo che senza saldare quelle che lei chiama buone intenzioni ai soggetti capaci di farsene interpreti, noi non usciremo dal recinto dorato delle istituzioni, che ci si trovi al governo o all’opposizione. Per me rifondare il Pd ha senso in questa dimensione: se allarghiamo il campo e proviamo a includere quanti, e sono tanti, ci osservano da fuori perché non trovano in noi le motivazioni, spesso neppure i sentimenti, per sentirsi accolti dentro una comunità.
Le dico una cosa. Nel corso di questa conversazione né io né lei abbiamo nominato una posizione di un dirigente del suo partito, dal segretario in giù: una parola d’ordine, una battaglia, una cosa che lasci il segno. Mentre sia lei che io abbiamo fatto diversi dibattiti sul centenario del Pci, partito che ha cessato di esistere 30 anni fa. Cosa vuol dire questo?
Non è solo nostalgia quell’attenzione al Pci. Credo sia la delusione per ciò che avrebbe dovuto essere dopo e che non è stato. Per una perdita del soggetto politico, della partecipazione, che ha visto trasformare quel patrimonio in una palestra di bravi aspiranti a cariche pubbliche. Ma a un partito non ci si iscrive perché si vuole fare il consigliere comunale, il deputato o il ministro. Quella scelta la si fa se a motivarla è una spinta etica, una esigenza non risolta di giustizia e di dignità da conquistare per sé e per chi verrà. Io dico che non dobbiamo avere paura di affrontarla questa discussione. Può darsi che ci veda su posizioni diverse, ma fossero pure distanti, meglio imboccare la strada della chiarezza tra noi se vogliamo risultare credibili agli occhi degli altri.
Cuperlo, un’ultima cosa: lei è tra quanti non ha commentato il tweet di solidarietà del suo segretario a Barbara D’Urso eppure quella sortita, che l’abbia scritta o meno Zingaretti di suo pugno, ha prodotto un fiume di polemiche. Ieri sera aprendo Sanremo persino Fiorello ci ha ricamato sopra. Dica la verità, lei lo avrebbe fatto quel tweet?
Non lo avrei fatto, ma al di là del tweet credo esista un tema che riguarda tutti: politici, giornalisti, opinionisti, ospiti con la residenza nei talk. Nel tempo si è creata una commistione di generi e linguaggi che alimenta un vocio dove si fatica a distinguere lo scienziato dall’influencer, il magistrato dal giornalista, il politico dallo showman o woman. E questo non va bene perché finisce col confondere la realtà con quanto di reale talvolta conserva molto poco. Detto ciò mi faccia dire che un certo numero delle critiche rivolte a quel tweet avrebbe meritato la citazione evangelica “scagli la prima pietra”.
L’HUFFPOST
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