Milioni di vecchi e nuovi poveri: non possiamo abbandonarli

Vecchi e nuovi poveri che affollano le ultime carrozze, per i quali il governo Draghi ha appena stanziato un miliardo di euro. Ma non basteranno questi soldi per impedire che il convoglio si spezzi in due. E non basterà l’impegno forsennato delle associazioni non profit, cioè l’arcipelago delle buone azioni, che a vario titolo stanno facendo l’impossibile per alleviare il confinamento ai margini. Come non basterà sommare redditi di cittadinanza e di emergenza, per quanto finora salvifici ma inevitabilmente a tempo.

C’è una frase di Ermanno Olmi, regista degli umili e degli ultimi, più facile da ricordare di una cifra: «Bisognerebbe andare a scuola di povertà per contenere il disastro che la ricchezza sta producendo». Sommare alla ricchezza, intesa come bulimia di guadagno sterile, che cioè non produce né valore né frutti, i guasti profondi che sta scavando la pandemia, dà un’idea dell’emergenza che le stime dell’Istat hanno appena radiografato. Un’infezione sociale che sta interessando e affollando troppa Italia e troppi italiani. L’agenda delle priorità, in vista dei fondi sperabilmente in arrivo dall’Europa, dovrebbe includere un capitolo che ancora non c’è: «Progetto dignità: per non abbandonare una parte del Paese alla deriva». Il Sud certamente, ma ormai non solo. Anche la pandemia dell’indigenza ha rotto gli argini geografici, e non esistono più zone bianche.

Finché è una statistica, per quanto allarmante, la povertà indigna ma non impegna. Ma quando prende corpo e rischia di esondare, allora il problema non è più soltanto umanitario. Diventa (o non diventa) l’orizzonte delle scelte di un governo. Tenere insieme il treno Italia whatever it takes, a ogni costo, oppure accettare la perdita dei vagoni di coda, attutendo il distacco con misure tampone: tra un’opzione e l’altra, passa il confine dell’Italia che verrà.

Se prima o poi il capo del governo concedesse uno strappo alla sua regola del silenzio e decidesse di dire qualcosa in pubblico, guardando negli occhi questo Paese smarrito e spiegando la rotta che dovrebbe portarlo in salvo, i primi a essergliene grati sarebbero proprio quelli che la rotta temono di averla già persa, che si sentono abbandonati, che hanno smesso di crederci.

Sono un numero, 5 milioni 600 mila. Un numero enorme, composto di singoli addendi, e ogni addendo è un cittadino, con gambe, testa e cuore. La disperazione di questi tanti è, per ora, muta e invisibile. La terza ondata del coronavirus peggiorerà ulteriormente le aspettative che ancora nutrono dalla vita. Dare loro coraggio, farli sentire parte del piano, non è una buona azione. Non essere ignorati sarebbe un diritto.

CORRIERE.IT

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