Pd, ripartire dagli ideali
L’evoluzione della sinistra è stata lenta, dolorosa, ci si è dovuti liberare dal clientelismo dell’ultima Dc e dallo stalinismo del vecchio Pci, e in tanti – con entusiasmo – hanno contribuito a questa maturazione. Milioni di cittadini hanno partecipato alle primarie, con gioia, investendo su una formazione democratica, libera, capace di puntare sui diritti, sul futuro. Oggi il Pd è invece il solo partito italiano a bocciare le donne ministro, disperdendosi in malinconiche baruffe che se fanno vergognare il segretario, figuratevi gli elettori. Il mondo è animato da campagne vitali, ambiente, uguaglianza, diritti, diversità, giustizia nella tecnologia e nei social media. Il Financial Times, organo del capitalismo!, nomina in Veronica Kan-Dapaah la prima “direttrice per la diversità in redazione”. Le studiose contestano, giustamente, i peggiori lemmi patriarcali della Treccani, c’è ovunque fame di libertà e fraternità: non uno di questi fremiti, fuori dai discorsi stucchevoli, risuona ormai nel Pd, provincializzato in aree ristrette, rassegnato tra un ceto di cui difende lo stato sociale e il voto d’opinione esangue. Agli intellettuali, che in massa hanno firmato un appello pro Conte II, si demanda un dibattito formale, non si contraddice Zagrebelsky che lamenta i tecnici al governo, mai ci si impone con coraggio morale e speranza nel futuro. Qualunque sia l’esito delle dimissioni di Nicola Zingaretti, il Pd può salvarsi solo con un autentico confronto, e momenti di scontro aperto, non fra personaggi, ma fra ideali e valori, liberando una leadership nuova e capace di una proposta agli italiani che non susciti “vergogna”. L’alternativa è vivacchiare, con parecchie poltrone certo, ma tutte occupate da poltroni.
LA STAMPA
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