La mossa di Draghi difende l’Europa
Francesca Sforza
Un po’ come fece quando usò la distinzione tra debito buono e debito cattivo, il presidente del Consiglio Mario Draghi stavolta ha fatto presente che c’è un’Europa buona e un’Europa cattiva. O meglio, un’Europa che funziona e una che funziona male. Il che non significa essere antieuropei, al contrario: ribadire ciò che non funziona in Europa significa innanzitutto crederci. Non sorprende, infatti, che sia proprio un antieuropeista vero come Boris Johnson a reagire per primo alla presa di posizione ispirata da Draghi all’Unione europea per bloccare l’esportazione di 250 mila dosi di vaccino verso l’Australia. Per il premier britannico in questo modo si mette a repentaglio lo sforzo globale contro il Covid e si interrompe quella catena di comune e reciproco interesse nel contrasto alla pandemia che fa capo al principio secondo cui “nessuno può sentirsi al sicuro finché tutti non saranno al sicuro”.
La lezione di Draghi, tuttavia, aggiunge a questo sacrosanto principio l’aspetto relativo agli interessi in gioco: non si tratta di dire “vacciniamo prima i cittadini europei degli australiani”, ma di ricordare che chi prende impegni con l’Unione europea – in questo caso garantendo un quantitativo di vaccini che invece poi non è stato consegnato – li deve assolvere. Le aziende produttrici di vaccini, in questo caso, hanno la responsabilità di tenere fede ai contratti stipulati, e l’Europa non può transigere su questo rispetto, pena una caduta di credibilità sia di fronte ai propri cittadini, sia in quanto istituzione sovranazionale. Perché inutile farsi illusioni, il fatto che l’Unione europea sia un’entità politica che raccoglie più nazioni – e che abbia spesso delle procedure farraginose, anche a causa del concorrere di più voci al suo interno – dà agio a una serie di disfunzioni. Una è quella “in entrata”, nel momento in cui si tratta con soggetti terzi come le aziende produttrici di vaccini: come Draghi ha fatto osservare a von der Leyen si sono registrate debolezze, mancata chiarezza, assenza di polso in fase contrattuale; l’altra è quella “in uscita”, quando i soggetti in questione pensano che proprio a causa di un certo sfilacciamento interno sia possibile non rispettare gli impegni, o rispettarli a metà, o fare finta che tutto vada bene anche se non è così. Tanto si sa com’è l’Europa.
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