l deficit scolastico dei nostri figli

di GABRIELE CANE’

Possiamo prenderla come ci pare: con ottimismo, indifferenza o rassegnazione. Possiamo, dobbiamo riconoscere l’impegno straordinario di tanti docenti e degli studenti di buona volontà. Ma il fatto che da oggi quasi 8 milioni di ragazzi siano incatenati nella Didattica a distanza (Dad) segna un’altra tappa verso un secondo anno scolastico monco, deficitario. Non del tutto buttato via, certo, ma neppure adeguato al risultato (un’istruzione compiuta) che si prefiggono sia l’istituzione, sia chi la vive, docenti, studenti e personale vario. Lo dicevamo l’anno scorso proprio di questi giorni, e possiamo confermarlo ora: perché la scuola funzioni al meglio, bisogna andare a scuola.

In dodici mesi si è fatto di tutto per assecondare una mutazione genetica che in altri Paesi non c’è stata, o non si è ritenuta necessaria. Ma la realtà è stata nel suo complesso più forte dell’impegno. Perché non bastano sacrificio e fantasia quando Internet non c’è, né veloce, né lento, come in parecchie zone soprattutto al sud; quando si è in 4-5 in famiglia in un normale appartamento, ognuno con la sua Dad o il suo smart working, e non si sa neppure dove appoggiare il computer; quando non ci sono i soldi per comperare un tablet per tutti, e ci si arrangia con lo smartphone; quando bisogna fare laboratori tecnici; quando il frigo è a due passi, una calamita per qualche avanti e indietro, con il risultato che la spiegazione diventa sincopata, a spot, come un messaggio morse; quando si continua a chattare mentre il prof spiega; quando il prof fatica legittimamente a riconvertirsi a un insegnamento che nessuno gli ha insegnato.

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