Perché Draghi non conviene alla destra
C’è una quantità di politici in crisi per colpa di Mario Draghi. I più sofferenti sono nella vecchia maggioranza giallo-rossa, che guidava il governo ma se l’è giocato a poker con quel professionista di Matteo Renzi; cosicché, potendosela prendere soltanto con se stessi, gli orfani di Giuseppe Conte adesso si trovano su un pullmino pilotato da Draghi che li sta portando altrove, col Caimano e col Capitano pure loro a bordo. Oltretutto l’autista ha già dato un paio di brusche sterzate, che smentiscono chi si aspettava manovre morbide in piena continuità. Per buona parte della sinistra si annuncia un viaggio da incubo. Ma non è che sull’altra sponda se la passino meglio. Anzi, per molti aspetti a destra dovrebbero preoccuparsi di più.
I rischi che corre la Lega sono quelli ben spiegati da Mattia Feltri sull’Huffington Post: difficilmente Salvini potrà ripetere il giochino del 2018, quando era al potere con i grillini, li bullizzava, dettava loro lo spartito costringendoli a ballare la rumba e la samba. Stavolta non ci sono margini di manovra. Super Mario è lì per fare due cose, possibilmente in fretta: distribuire i vaccini e incassare i miliardi dall’Europa. Quella è la “mission”, prendere o lasciare. Cosicché Salvini non può stare con un piede dentro e un piede fuori, alternando felpa di lotta e cravatta di governo come piacerebbe a lui. Tra l’altro Draghi si sta muovendo senza ripetere certi svarioni del suo predecessore. Rispetto all’era Conte, meno “story-telling” e più fatti che parlano da sé. Non convince il capo della Protezione civile? Si accomodi, prego. Arcuri ha deluso? Vada a casa anche lui. I vaccini non bastano? Prendiamo esempio da Gran Bretagna e Israele. A Bruxelles frenano? L’ex presidente della Bce sa come farsi ascoltare. Per adesso Salvini può soltanto applaudire e mostrarsi soddisfatto. Se caricasse a testa bassa, sfonderebbe una quantità di porte aperte. A parte pochi dettagli, non saprebbe che cosa obiettare. La sua pistola propagandistica è scarica, la Bestia al guinzaglio si sta annoiando.
Giorgia Meloni è messa perfino peggio. Almeno Matteo tenta di recitare la parte del leader responsabile, che antepone al calcolo il bene comune; deve scrollarsi l’etichetta di Infrequentabile che all’estero gli rimane attaccata, accompagnarsi a Draghi è un ottimo rimedio. Lei invece è leader dei Conservatori Ue, si sente già rispettata e riverita. Perciò ha scelto le barricate scommettendo che farà incetta di voti. Come darle torto? Da trent’anni in Italia funziona così, alle elezioni chi governa non viene mai premiato, per vincere bisogna prima andare all’opposizione. E poco male se lei ci va da sola, anzi meglio se non c’è Salvini. Sennonché Draghi le ha giocato uno scherzo. Anzi, ne ha tirati due.
Prima ha levato Arcuri mettendoci un generale: scelta dettata dalla logistica, imposta dall’urgenza di accelerare con ogni mezzo i vaccini, che però a destra provoca godimento, quasi un orgasmo perché da sempre le stellette, le fanfare, i presentatt’arm e naturalmente i marescialli, i colonnelli, i generali su quel versante politico evocano un’idea di valori (ardimento, obbedienza, onore) che nella vita civile si riscontrano sempre meno. In più, i militari ricordano scorciatoie che al premier non passano nemmeno per l’anticamera del cervello, ma nell’ultra-destra fanno sempre sognare. Sia come sia, nella disfida tra Giorgia e Draghi quest’ultimo ha segnato un punto a favore perché Meloni non ha avuto nulla da obiettare, anzi è stata costretta a sostenere che il cambio di Arcuri l’aveva proposto lei e il premier le ha dato retta.
Pages: 1 2