Covid, il primario Nava: «Tragedia continua ma la rimuoviamo, ora perdiamo i malati più in fretta»

Com’è stato trovarsi dall’altra parte?

«Mi ha segnato molto. Tendiamo a formare i nostri studenti come fossero All Blacks del rugby, guerrieri che si credono invincibili. Ma medicina significa anche dire errore, sconfitta, impotenza. Tutte cose che con l’epidemia abbiamo provato sulla nostra pelle».

Ha avuto paura?

«Certo. È come camminare su una lastra di ghiaccio sottile. Con il Covid, non esiste la diagnosi certa. In ogni momento si può virare verso il meglio o il peggio. Avere la febbre alta per 13 giorni di fila non è certo rassicurante. Non lo è stato per me, non lo è per qualsiasi altro malato».

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Quale differenza tra le diverse ondate?

«Oggi il malato ti scappa in un tempo molto più veloce. Un giorno ha parametri da dimissione, quello seguente viene intubato. Nella primavera del 2020 c’erano focolai più grandi. La bocciofila di Medicina, il corriere della Bertolini. Adesso invece abbiamo tantissimi cluster familiari. E a causa delle varianti, una età media più bassa di 10-12 anni».

Gli italiani hanno fatto la loro parte?

«Ci piace pensarlo. Un po’ è così. Ma di recente non sempre si è seguito in modo rigoroso quanto suggerito in maniera ben poco persuasiva».

Il momento peggiore?

«L’inizio della seconda ondata. C’era stato quell’intervallo estivo di apparente illusione. Con il senno di poi, un errore esiziale. Da non ripetere, a ogni costo».

Cosa era cambiato?

«Prima, i comportamenti erano stati quasi sempre virtuosi. A settembre, tornando a casa dall’ospedale, incrociai in centro sei ragazze senza mascherina. Glielo feci notare dicendo di pensare ai loro nonni. Mi mandarono a stendere».

Di chi è la colpa?

«Altro che canti dal balcone e medici eroi. Oggi sembra che questi morti siano un problema che riguarda solo gli altri. Anche per via di un racconto distorto della realtà. Io capisco i problemi economici, capisco la frustrazione. Ma tra salute e profitto, una società sana sceglie sempre la prima opzione».

Quali sono gli effetti del negazionismo?

«Gli insulti sempre più frequenti a medici e infermieri feriscono, questo è certo. Credo che sia un fenomeno alimentato dalla scarsa conoscenza. La scorsa estate abbiamo ricoverato un signore convinto che il Covid non esistesse. Diceva che eravamo pazzi criminali. Poi è peggiorato. Abbiamo dovuto intubarlo. Oggi gestisce una pagina Facebook che sprona gli italiani a fidarsi dei vaccini».

Ce la faremo?

«Centomila morti sono un lascito terribile, ma resto ottimista. A due condizioni. Vaccinare, chiunque e ovunque. E poi non abbassare la guardia, evitando di lanciare messaggi contraddittori. Come è avvenuto con la follia di questa estate, quando si è creato un precedente che purtroppo ha fatto scuola».

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