Famiglia in crisi. L’uomo è fatto per stare in tribù
di DAVIDE RONDONI
Figli piccoli uccisi, genitori e mogli uccisi, suicidi. La cronaca ci inonda di orrori nelle case. Certo, non fanno notizia tutte le altre case dove invece ci si aiuta, ci si perdona, ci si sostiene. Dove crescono i piccoli. Del resto la casa dove diventa inevitabilmente il luogo in cui si accumulano e si scaricano le forze della vita. Tutte, quelle positive e quelle difficili. Ma tutte queste notizie sembrano gettare un’ombra sinistra su quel che chiamiamo famiglia. Ma ecco il problema. Cosa intendiamo oggi con famiglia? Da tempo ripeto che l’essere umano è fatto per la comunità, per la tribù, non per la famiglia.
O meglio, è chiaro che una famiglia senza comunità rischia di diventare in molti sensi una tomba, e non a caso in tutte le tragedie la solitudine getta la sua ombra. Il fatto è che è prevalsa nel tempo una idea e una pratica di famiglia che definirei “borghese”. Intendo con questo termine non uno status economico, bensì una idea, una mentalità.
La crisi della famiglia attuale (evidenziata dai fatti violenti, ma anche dal calo dei matrimoni) è la crisi della famiglia borghese, cioè di un modello imposto da varie forze, culturali e consumiste. Secondo questo modello la famiglia sembra dover essere una specie di piccolo paradiso autosufficiente, tenuta insieme dall’allegro consumo di prodotti che soddisfano bisogni e da una specie di autonomia da tutto il resto. Il mondo fuori dalla porta. Un nido felice. Migliaia di film, di pubblicità, di retorica spesso dolciastra, anche da parte di chierici lontani dalla realtà, la propongono in questo modo. Ma questo organismo si rivela invece mostruoso e poco interessante. Come se la aspirazione della vita fosse chiudersi in un condominio (o villetta per i più fortunati) in cui lui, lei, un figlio forse, un cane e le fette biscottate di quella certa marca garantiscono un luogo confortevole. Balle. E infatti quel modello non tiene e non attira. E può trasformarsi in un incubo.
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