Vaccino, prima gli anziani o il futuro dei giovani? L’incubo del conflitto tra generazioni
di RAFFAELE MARMO
È rimasto sotto traccia durante tutto questo lungo e terribile anno e, in larga parte, si manifesta tuttora in forma carsica, coperto come è da distinguo e velate ipocrisie. Ma il conflitto generazionale nonni-nipoti o nonni-figli è uno dei prodotti più avvelenati della pandemia, da un lato, e della sua gestione, dall’altro. Un prodotto che viene da più lontano che, però, con l’incalzare dell’emergenza Coronavirus e con l’avvio della campagna di vaccinazione è riemerso dai retropensieri di una società sempre più inquieta, incerta, impoverita e terrorizzata da un futuro che si è rivelato ben diverso da quello che si voleva far presagire con l’ottimistico “ne usciremo migliori” di 12 mesi fa.
Covid: coprifuoco e lockdown, stretta da lunedì
No, non ne siamo usciti migliori: purtroppo, il lungo e buio inverno del virus del secolo ha generato morte e povertà, rabbia e dolore, ha allargato le vecchie disuguaglianze e ne ha generato di nuove, ha determinato, insomma, una caduta verticale del tenore e della qualità della vita per milioni di persone. La gestione dell’emergenza, a sua volta, realizzata per stop and go, chiusure, aperture, passi in avanti e improvvisi ritorni indietro, ristori, bonus e piani di contrasto più o meno fallimentari, ha finito per moltiplicare divari e opposizioni: lavoratori autonomi e dipendenti, pubblici e privati, uomini e donne. Ma, soprattutto, tra giovani e anziani.
Basti solo riflettere su quello che ha scritto qualche giorno fa Walter Veltroni: “Ora un segnale, vacciniamo i giovani. Proteggere i ragazzi — almeno quelli tra i sedici e i diciotto anni che già oggi possono ricevere uno dei vaccini — e accelerare la sperimentazione già partita per estendere rapidamente l’età di possibile somministrazione, significa non solo consentire agli adolescenti di tornare a vivere, ma arginare, proprio tra coloro che hanno più possibilità e bisogno di mobilità e relazione, la diffusione del contagio”. Parole che hanno visto un altro uomo di sinistra, come il ministro della Salute, Roberto Speranza, bocciare seccamente l’ipotesi: “Le scelte etiche sono sempre rispettabili, ma 6 decessi su 10 riguardano persone con più di 80 anni, vaccinarle significa salvare loro la vita. È la cosa più nobile che c’è”. E, d’altra parte, è di questi giorni uno studio dell’Ispi secondo il quale “dando priorità agli anziani, a febbraio si potevano salvare 2.200 vite”. Il risultato è plasticamente rappresentato, se vogliamo, da due manifestazioni simboliche in programma proprio per oggi: da un lato, il presidio di FederAnziani davanti a Palazzo Chigi per commemorare i 100mila morti, nella stragrande maggioranza nonni d’Italia, e sollecitare maggiori tutele e una più veloce corsa alla vaccinazione per chi rischia di più; dall’altro, gli studenti che si ritrovano di nuovo in piazza per protestare contro la ripresa della Dad, ma anche i ristoratori che non reggono le strette in corso e temono un vero e rinnovato lockdown.
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