“Freddo, senza lustrini e ingessato. Però sta governando con i fatti”
Claudio Velardi, lei è un esperto di comunicazione politica, ma è stato anche braccio destro di un premier (D’Alema, ndr).
Ci dia il suo giudizio sul debutto comunicativo di Mario Draghi.
«Va fatta una premessa: noi (e parlo di tutti, politica, media, pubblico) stiamo uscendo da una pesantissima overdose di comunicazione. Siamo come tossici all’ultimo stadio, dopo anni e anni di escalation comunicativa: da Berlusconi a Renzi, fino all’apoteosi casalinian-contiana. Ora, con Draghi a Palazzo Chigi, ci hanno messo tutti a San Patrignano a disintossicarci, e soffriamo molto, cerchiamo disperatamente un metadone e lui, algido, non ce lo dà».
Per restare alla sua metafora, Draghi non le pare intenzionato a fare il pusher?
«Non è un animale comunicativo, per come siamo abituati a considerarlo noi. Ha scelto un’altra cifra: il comunicato con cui ha diffuso l’altro giorno la sua agenda (la visita, l’inaugurazione, il messaggio) sembrava fatto per Mariano Rumor. Una cifra ingessata, formale, senza lustrini. Ovviamente lui sa benissimo che non è questa la comunicazione cui si è abituati al giorno d’oggi, quindi non è che non può, ma non vuole farla. E ci vedo anche una sorta di sottile, elitario sfottò verso un pubblico di intossicati da dirette Facebook».
Ma questa cifra può durare o prima o poi dovrà cambiarla?
«Potrebbe durare se non ci fosse più bisogno di comunicazione perché arrivano subito i fatti. Ma i fatti non possono arrivare in tempi talmente rapidi da poter continuare così a lungo. Al primo incidente di percorso dovranno intervenire, inventarsi una forma comunicativa per le emergenze. Finora di incidenti non ce ne sono stati, c’è stata solo quella polemica idiota su Mc Kinsey, risolta con un gelido comunicato del ministro dell’Economia».
Ma così non rischia di lasciare un palcoscenico ai vari leader politici che si agitano in astinenza da telecamere?
«Per ora Draghi può ancora permettersi di restare nell’iperuranio a guardare dall’alto in basso i soliti noti che si agitano in cerca di visibilità. Del resto, due dei principali partiti della sua maggioranza – Pd e Cinque Stelle – sono lì che razzolano nei cassonetti delle loro crisi interne. Salvini si dà molto da fare per apparire, ma resta anche lui alla periferia. Persino la Meloni s non va oltre i suoi videomessaggi fiume sui 35mila euro. L’agenda politica la ha saldamente in mano Draghi, gli altri sono materia da pastoni dei tg, la gente sa che al Paese ci pensa il premier, non certo Salvini o Zingaretti».
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