Zero nella forma. Lode alla sostanza
Ieri Mario Draghi si è rivolto per la prima volta direttamente agli italiani con un messaggio registrato di pochi minuti.
Devo essere sincero: ho visto all’opera il peggior comunicatore nella storia dei presidenti del Consiglio. Sguardo fisso alla telecamera come un neofita del video, traballante nella voce, ingessato nella postura, nessuna concessione alla ricerca del consenso, Draghi è stato un vero disastro nell’epoca dei social e dei clic. Ma c’è un «ma» grosso come una casa. Detto tutto questo, Mario Draghi è il primo presidente a dirci come stanno le cose e non come vorremmo – o vorrebbe lui, che è poi la stessa cosa -, che stessero. Concetto riassumibile in una frase del suo discorso che andrebbe incorniciata e imparata a memoria da qualsiasi politico: «Non voglio promettere nulla che non sia veramente realizzabile».
Dopo anni di «vedremo», «faremo», «studieremo» spacciati per fatti e verità acquisite, sentire il comandante in capo dire «non voglio promettere» ci lascia più tranquilli e ottimisti sul futuro, più o meno come immagino lo furono non voglio fare paragoni eccessivi – gli inglesi già in guerra con Hitler ascoltando il primo discorso di Winston Churchill premier di emergenza: «Non ho nulla da offrirvi se non fatica, lacrime e sudore».
Realismo e pragmatismo al posto di prese per i fondelli e previsioni farlocche è uno scambio che facciamo volentieri, al diavolo l’efficacia mediatica e il consenso social. La sintesi del discorso di Draghi è che non è finita, ma finirà quanto prima tanto più si starà uniti, e il richiamo mi pare di capire non è soltanto per la litigiosa classe politica ma vale anche per la comunità scientifica, la classe dirigente (per esempio quella scolastica) e in ultima istanza tutti noi.
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