I falsi miti che incombono sul Pd
Elisabetta Gualmini
Caro Direttore, il dibattito sullo stato confusionale in cui versa il Pd, dopo le dimissioni choc di Zingaretti, dovrebbe ripartire dai falsi miti che inseguiamo da anni. Inutilmente. Primo tra tutti, il mito dell’unità: l’evocazione a tutti i costi di un (finto) unanimismo di intenti e strategie in qualunque bivio decisionale. Peccato che negli ultimi anni le decisioni da prendere sono tutte complicatissime, in una fase storica che non procede in modo lineare ma per salti e tornanti, e che non offre ricette preconfezionate da tirare fuori al bisogno. Così nel 2018, quando il travaglio era tra l’alleanza con gli arcinemici (i 5Stelle) o il ritiro sull’Aventino (con le mani imburrate nei sacchetti di popcorn); così nel 2019, quando bisognava decidere se andare al voto o salvare il Paese dall’estremismo di Salvini; così nel 2021, quando il dilemma era tra difendere Conte, convertitosi alla socialdemocrazia europeista, o curvare a 360 gradi e andare a coabitare con Salvini. Non sono decisioni automatiche né diritte. Da prendere dentro il rumoroso sferragliare di coltelli prodotto dal correntismo esasperato, nel mezzo di conflitti e antagonismi tra capibastone decisi a imporre la propria linea (e i propri uomini). Di per sé le correnti non sono il male assoluto, se sono aree di riferimento culturale dentro a un partito grande e plurale. Anche quando Meloni e Salvini devono decidere posizionamenti e candidature non lo fanno con leggiadria intorno a un tè e a vassoi di pasticcini. Certo, se le correnti degenerano in filiere di potere fortissime dentro ai palazzi romani e prive di qualsiasi appeal elettorale, allora sì che diventano un problema.
Il secondo mito è quello della responsabilità, sempre e comunque. Il Pd governa da anni senza vincere le elezioni, si è detto. Ma quanto entusiasmo e commozione ho visto negli occhi di dirigenti e amministratori quando raccontano il Pd come forza tranquilla e rassicurante, quella che da un lato “costituzionalizza” i 5 Stelle e dall’altro “argina l’onda nera” della Lega. Applausi. Un partito, dunque, che si muove sempre in difesa, per parare gli attacchi dei malintenzionati. Ma andare al governo per il bene del Paese è una buona soluzione se si hanno obiettivi chiari da realizzare, non solo per frenare le idee degli altri.
E poi il mito della parità di genere. Mai praticato, se non in rare occasioni, e con la destra che ci supera a ogni latitudine. E sempre evocato come una gentile concessione. Bisogna che le donne che desiderano rivestire ruoli politici si rappacifichino con la nozione di potere e si mettano in gioco. Piuttosto che chiedere oggi due segretari (eh?), meglio preparare candidature femminili quando ci saranno le primarie in modo che ci si misuri sul campo
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