Letta rianima il cacciavite
Si ripresenta così, Enrico Letta, primo segretario della storia eletto in zona rossa, con una consapevolezza che però non è ancora un’agenda, se non per grossi capi e con una buona intenzione di riconnettersi al “popolo” in tempi di pandemia, anche se le lacrime, il sangue di questi tempi, le angosce e i conflitti sono assorbiti in una visione forse un po’ troppo armonica della società. È chiaro: ci sono i giovani, le donne, il lavoro, la questione ambientale, ma la sua relazione è ancora un work in progress, forse per scelta, che prenderà forma nel confronto con la base, anche sui punti in cui andrà incalzato il governo Draghi, al netto dello ius soli, il cui recupero quantomeno semantico segna quantomeno una bandiera identitaria, al netto della sua impraticabilità i questa maggioranza. Si vedrà, se basta o se i processi materiali prodotti dalla crisi, e con essi la necessità di una ricostruzione materiale e morale del paese, sia così profonda da richiedere qualcosa di più.
Definito, invece, e questo è un tratto di novità, il rapporto col governo Draghi, che il Pd ha finora subito e maldigerito: “Il governo Draghi è il nostro governo. Ascoltando il suo discorso, è la Lega deve spiegare perché lo appoggia, non noi”. Un approccio radicalmente diverso rispetto a chi lo considera come un “governo amico” o peggio come il terreno su cui si sta preparando un’inevitabile svolta a destra, ripulita del sovranismo. La necessità è diventata un’opportunità, non solo per una maturazione complessiva del sistema politico perché “se Lega e Cinque stelle votano un governo europeista è una buona notizia”, ma perché nell’orizzonte della ricostruzione e del Recovery il neosegretario vede l’occasione per il rilancio dell’Europa e della sinistra che tanto sangue donò all’austerità.
E se sul governo la parola d’ordine è non lasciare Draghi alla destra, il neo ulivismo politico consiste, in sostanza, nel non lasciare la sinistra ai Cinque Stelle, subordinando al tema politicista delle alleanze la ricostruzione dell’identità. Compito del Pd, per Letta, è riallacciare i fili di un nuovo centrosinistra, dialogando con tutte le forze riformiste, da Calenda a Speranza passando per Renzi, nominato senza polemica, e da lì aprire un confronto con i Cinque stelle di Conte, attendendo l’esito del loro travaglio identitario. Essere cioè “il motore del governo Draghi e il soggetto che prepara il dopo, un nuovo centrosinistra, su iniziativa e leadership del Pd”. Il “punto di riferimento dei progressisti europei”, sul cui governo non è stata spesa neanche una parola, è un interlocutore, ma l’idea di Letta, sanamente competitiva, è che il Pd non debba rinunciare all’ambizione di guidare l’alleanza ed esprimere il candidato per palazzo Chigi, quando sarà. Ed è altrettanto legittima l’ambizione di tornare dove tutto finì perché “non ho lasciato la vita precedente per guidarvi verso una sconfitta”. Nei panni, appunto, del nuovo Prodi.
L’HUFFPOST
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