Veltroni: “Il Pd stia con Draghi e torni a pensare agli ultimi, la sinistra impari a stare insieme”
Ci crede alla svolta europeista della Lega?
«Ci
credo come a tutto quello che viene detto in questo tempo strumentale.
Si può cambiare idea, ma lo si fa passando dal dolore della revisione
critica di se stessi: qui ormai basta un tweet».
Il Pd, invece, diceva, ha ancora ragion d’essere…
«Il
Pd nacque per tre ragioni: creare un grande partito riformista di massa
che l’Italia non aveva mai avuto, farlo non per scissione ma per
fusione, completare il percorso di riforme istituzionali del Paese».
Il Pd è stato fondato nel 2007. Se le ragioni sono ancora lì intatte, 14 anni sono passati invano?
«Invano
no. Il Pd è rimasto centrale in questi anni nella politica italiana, e
ora con Enrico Letta può tornare a un cammino che assomigli alle ragioni
della sua fondazione».
È sicuro? Letta ha fatto l’elogio delle coalizioni, il suo Pd era quello della vocazione maggioritaria.
«Ma
la vocazione maggioritaria è prima di tutto un fatto sociale: costruire
consenso nella società per mettere quella forza politica al centro di
un’alleanza progressista».
Per
anni abbiamo interpretato la vocazione maggioritaria come una tensione
all’autosufficienza. Invece è d’accordo con lui sulla necessità di
costruire alleanze?
«È ovvio che ci vogliano
alleanze: il problema è se si agglutina un’alleanza con nove partiti
destinata a sgretolarsi oppure si costruisce uno schieramento fondato su
una grande forza che si fa garante dell’indirizzo riformista e si allea
con altri. In questo caso ha senso sollecitare i Cinque stelle a
scegliere da che parte stare».
L’ultimo Pd era passato anche dal maggioritario al proporzionale…
«Sull’assetto
istituzionale negli anni si è fatta confusione, perdendo di vista la
visione d’insieme. Per esempio, siamo a marzo e ancora non si è visto
nulla delle annunciate riforme conseguenti al referendum per il taglio
del numero dei parlamentari. Io rimango convinto che il problema
italiano sia la stabilità e che questa venga meglio garantita da un
sistema maggioritario».
Ius soli, giovani, donne: le piace il programma enunciato da Letta?
«Molto,
ritrovo una visione. Aggiungerei che è necessaria una grande attenzione
agli ultimi, a chi soffre, a chi è solo. Mi rendo conto che la lotta
alla solitudine è difficile da classificare nel vocabolario tradizionale
della politica, ma quando il 30 per cento dei nuclei famigliari è
composto da una persona sola, è necessario occuparsene. Ne discende
un’idea nuova di welfare».
Letta
ha evocato il problema delle correnti. Nel suo discorso di candidatura
del giugno 2007, lei diceva che «non si comincia un nuovo viaggio con un
equipaggio dilaniato da vecchi rancori». Sono passati anni e siamo
ancora lì.
«Vede, io non mi dimisi da
segretario per la sconfitta alle elezioni sarde, ma perché non c’erano
più le condizioni per fare il partito del Lingotto e del Circo Massimo.
Si erano strutturate più organizzazioni dentro al Pd che vedevano in me
il problema. Dovevo scegliere se salvaguardare il mio ruolo o
salvaguardare il Pd».
Lei
andandosene disse: «Non fate al mio successore quello che avete fatto a
me». Zingaretti ha detto di vergognarsi di un partito che parla solo di
poltrone.
«Credo che Nicola si sia speso e abbia sofferto molto. Ha usato una frase forte, ma forse sarà uno choc utile».
Davvero?
Lei ci crede che possa cambiare qualcosa in una dinamica che si ripete
identica da anni? Come atteso, domenica scorsa erano tutti lettiani.
Quanto durerà?
«Enrico ha la forza e
l’esperienza vissuta necessaria per fronteggiare il rischio di una
unanimità di facciata. Ma occorre mettere nel partito giovani ed energie
nuove».
Occorre anche provare a recuperare chi se n’è andato?
«Mi auguro che si ricongiungano tutti quelli che sono stati nel Pd».
Anche Renzi?
«Ci
si può ricongiungere non solo nello stesso partito, lo si può fare
anche in un’alleanza, purché sia chiaro l’indirizzo politico e ci sia
sincera solidarietà. Quella che è mancata sempre in questi anni, fino
alla caduta di Conte. A sinistra bisogna prima o poi abituarsi a
convivere: non è possibile che l’unica forma del dibattito sia
l’unanimismo oppure le scissioni».
Non è possibile anche, dice il neosegretario, essere il partito del potere, condannato a stare al governo.
«Da
molto tempo è così: se da anni stai al governo e la maggioranza del
consenso va al centrodestra, ti devi porre il problema. Una delle
ragioni per cui il Pd nacque e ancora serve è per rimuovere l’idea un
po’ cinica secondo cui la sinistra può essere solo minoranza. Se la
pensi così, allora hai una sorta di vocazione minoritaria e ti allei con
chiunque pur di governare. Il governo diventa un fine e non un mezzo
per cambiare il Paese. Ma una grande sinistra sa stare al governo e
all’opposizione. Bisogna rimettere radici dove la sinistra di un
riformismo radicale deve stare».
Che consiglio darebbe al Pd e a Letta?
«Al Pd consiglio di sentire il governo Draghi come il proprio e di non fare la vedova del governo precedente. È giusto rivendicarne i meriti: il governo Conte ha fronteggiato bene la pandemia, ma ora guardiamo avanti. A Letta, dico che ho grande fiducia in quello che farà. Forse vado contro lo spirito del tempo ma sono molto ottimista sul futuro del Pd: ha davanti a sé spazi enormi. Se farà ciò per cui è nato: dare al riformismo italiano un grande consenso di popolo».
LA STAMPA
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