La sfida rischio-sicurezza fa del caso vaccini un dilemma
Che fare dunque, noi italiani, sospesi tra il mare e la foresta, tra il bisogno di rischiare e la voglia di sicurezza? Non credo che se ne esca impostando il problema su base etica. Personalmente invidio, e anche un po’ temo, i tanti che in queste ore mostrano di sapere con assoluta sicurezza, molto spesso senza presentare dati, quale sia la cosa giusta. Noto solo che proprio per risolvere questi dilemmi apparentemente irrisolvibili esiste la politica democratica, che decide nell’interesse comune, sulla base di un dibattito informato, e sotto il velo dell’imparzialità.
È purtroppo evidente che questo sistema non sta funzionando bene nell’ambito europeo. Lo dimostra il fatto che la scelta di sospendere il vaccino AstraZeneca sia stata fatta dai governi, riportata dentro i confini nazionali; che i consessi tecnocratici, come la Commissione o l’Ente regolatore, cui in tempi normali si delega l’iniziativa e il controllo, siano stati smentiti e scavalcati dalle decisioni di Berlino e Parigi, cui inevitabilmente si sono uniformati gli altri Paesi. Ciò solleva dubbi anche sull’imparzialità delle decisioni, che potrebbero essere condizionate sia dal clima politico (in Germania siamo in piena stagione elettorale), sia da interessi commerciali (concorrenti di AstraZeneca sono in Germania in Francia).
Allo stesso tempo sono mancate le condizioni per un dibattito informato, perché la trasparenza, la rapidità nel fornire i dati, anche quelli sulle reazioni avverse, la prontezza nello spiegare all’opinione pubblica con onestà che cosa sta accadendo, non si sono davvero dimostrate sufficienti a creare un clima di fiducia tra cittadini e autorità. Senza il quale, è bene dirlo, si danneggia proprio la campagna vaccinale. Ogni volta che lo Stato, come è nel caso dei trattamenti sanitari, non ha a disposizione il potere coercitivo, non può raggiungere i propri fini se non con gli strumenti della credibilità, della comunicazione e della persuasione.
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