Banche, aziende, politiche del lavoro. Tutte le partite aperte del governo
Le riforme in quel pacchetto, in primo luogo dell’amministrazione e della giustizia civile, prevedono soprattutto l’assunzione a tempo di decine di migliaia di nuovi addetti per accelerare il lavoro degli uffici. Non c’è valutazione di rendimento, non vengono chiesti impegni particolari alle categorie. Gli statali hanno ottenuto aumenti e garanzie, senza contropartite. L’ipotesi del premier di prolungare l’anno scolastico, per recuperare parte delle ore perdute, si è dovuta fermare davanti alle resistenze sindacali. Il contratto dei navigator è stato prorogato dal 3 aprile fino a fine anno, per quanto l’esperimento sia fallito. Finché la pandemia infierisce, l’obiettivo superiore è la pace sociale.
I sindacati hanno ottenuto il prolungamento della cassa integrazione Covid fino a fine anno e del blocco dei licenziamenti fino a ottobre per le aziende senza cassa ordinaria. È possibile che una minoranza di aziende ne stia approfittando: a gennaio scorso per esempio la cassa Covid ha pesato per il 9% del monte ore di lavoro previsto per gli operai, ma la produzione dell’industria e dell’edilizia era scesa solo del 2% rispetto a un anno fa (quando l’uso della cassa era una frazione minima rispetto all’attuale). Un simile scarto fa pensare che qualche imprenditore stia tenendo i suoi cassaintegrati al lavoro, lasciando che a pagarli sia il debito pubblico. autonomi
Draghi capisce che serve a poco affrontare questi nodi finché non sarà ricomposta la lacerazione del Covid. Non è un approccio nuovo, per lui. Anche alla Banca centrale europea a volte ha atteso a lungo il momento per incidere, per esempio quando lanciò il piano di acquisti di titoli nel 2015 e non prima come la Federal Reserve. Ci sono però almeno due nuovi fronti nei quali la realtà sta per irrompere e richiede risposte urgenti.
Il buco più pericoloso nella rete protettiva stesa sull’economia italiana riguarda le banche e la posizione di 1,2 milioni di imprese. Su pressione di Olanda e Danimarca, l’Autorità bancaria europea (Eba) sta obbligando di fatto a mettere fine alle moratorie sui rimborsi alle banche entro fine giugno. I debitori dovrebbero rincominciare a pagare le banche oppure finire insolventi. Il problema è che oggi 1,2 milioni di imprese hanno debiti dai rimborsi sospesi per 188 miliardi di euro: se anche solo un decimo di queste imprese fallisse, centinaia di migliaia di persone potrebbero perdere il lavoro. Il blocco dei licenziamenti non le proteggerebbe più e la questione oggi, benché sommersa, è il più urgente in tutto il quadro di politica economica.
Resta poi la partita delle politiche di formazione e collocamento finanziate dal Recovery per quasi sei miliardi. È la parte più arretrata del welfare italiano. Le “riforme” previste dal ministro del Lavoro Andrea Orlando (Pd) appaiono in realtà una prosecuzione degli aiuti agli uffici pubblici di collocamento delle regioni, che dimostrano da decenni di non funzionare. Ma il mezzo milione di persone che hanno già perso il posto e le tante altre seguiranno dicono che, su questo fronte, Draghi davvero non può permettersi sconti.
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