Draghi sfili le bandierine ai partiti
Massimo Giannini
Dunque, Mario Draghi parla. A un mese esatto dal suo discorso per la fiducia in Parlamento, il presidente del Consiglio più silenzioso della storia repubblicana si concede agli italiani per ben due giorni consecutivi. Affronta le emergenze che Mattarella ha affidato alle sue cure, dopo la crisi di sistema innescata dalla caduta del Conte Bis. La prima è la pandemia: “Lo Stato c’è e ci sarà”, dice a Bergamo colpita al cuore, città simbolo del dolore di un’intera nazione. La seconda è l’economia: “Questo non è il momento in cui si tolgono soldi, ma in cui si danno soldi”, dice a Roma davanti ai giornalisti, nella sua prima conferenza stampa da capo dell’esecutivo. Dopo averlo visto e ascoltato, almeno questo lo possiamo ribadire al di là di ogni ragionevole dubbio: conviene che il premier parli. Conviene a lui, che decide sullo “stato di eccezione” e su una politica rissosa e sclerotizzata. Conviene ai cittadini, che aspettano un vaccino, un ristoro, un futuro.
Non si tratta di farne un santino, e neanche un salvatore della Patria: non è né l’uno né l’altro. Ma Draghi è convincente, perché mostra padronanza dei dossier. È rassicurante, anche se è asciutto e mai retorico. Solo chi non lo conosce e non lo ha seguito nei suoi anni in Banca d’Italia e poi alla Bce si stupisce di queste qualità. In otto anni a Francoforte ha trattato con i capi di Stato e di governo non solo d’Europa ma del mondo. Si è confrontato con la Fed, ha piegato la Bundesbank. Comunque la si pensi su di lui, possiamo convenire sul fatto che abbia una certa esperienza degli uomini e una certa pratica del potere. E nella sua doppia uscita pubblica l’ha dimostrato, parlando il linguaggio pacato ma ruvido della verità e del pragmatismo. Anche per questo è utile che parli più spesso, al Palazzo e al Paese.
Sulla pandemia si chiude una settimana difficile, per l’Europa, per l’Italia e per il governo. La gestione del caso AstraZeneca non è stata esemplare né lineare. Ha sancito l’ennesimo passo falso dell’Unione, dopo le troppe disattenzioni contrattuali con Big Pharma. Ha fatto riemergere il “fai da te” tra gli Stati membri, che hanno agito in autonomia e in distonia con Bruxelles. Ha palesato i ritardi delle autorità sanitarie comunitarie, che hanno reagito male e comunicato peggio.
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