La piazza sfida Erdogan sui diritti delle donne: “Non ci chiuderà in casa”

La Convenzione, e la mobilitazione delle donne, ha spinto a modifiche legislative. L’anno scorso i tribunali hanno inflitto 5.748 condanne nei confronti di uomini violenti. Una goccia nel mare, visto che ben 271.927 soggetti hanno subito restrizioni o sono stati posti in centri di disintossicazione da droghe e alcool, mentre sono stati applicati 333 braccialetti elettronici agli stalker. Le donne turche non si sentano al sicuro né in casa né fuori. Tanto che in occasione della celebrazione dell’8 marzo lo stesso Erdogan aveva condannato «ogni forma di violenza o costrizione, fisica e psicologica» come «crimini contro l’umanità». Il voltafaccia in meno di due settimane è destinato a fargli perdere consensi nell’elettorato femminile. Deve coprirsi il fianco ed è intervenuta in suo sostegno la figlia Sumeyye, vicepresidente dell’associazione Kadem: «La Convenzione di Istanbul è stata importante per combattere la violenza – ha spiegato -. Ma al punto in cui siamo arrivati adesso, ha perso la sua funzione originaria e si è trasformata in una ragione di tensioni sociali». Il portavoce della presidenza, Fahrettin Altun ha poi aggiunto su Twitter che la Turchia «continuerà a lavorare per permettere alle donne di partecipare sempre di più alla vita sociale, economica, politica e culturale: più sono forti le donne, più e forte il Paese».

Un discorso poco convincente, che ha ridato fiato all’opposizione. Sempre su Twitter il leader del partito repubblicano Chp, Kemal Kilicdaroglu, ha sottolineato come il governo «ha tolto di punto in bianco i diritti a 42 milioni di cittadine: chiamo tutte a difendersi, vogliono trasformare le loro vite in un inferno» e si rivolto al Consiglio di Stato per chiedere l’annullamento della decisione. Per la leader dell’associazione We Will Stop Femicide, Ipek Bozkurt i segnali si erano manifestati già la scorsa estate: «È una campagna che va avanti da mesi, le Ong femminili vicine al governo hanno cominciato a dire che non era possibile alcun dialogo, perché la Convenzione era «indiscutibile», e alla fine «l’hanno buttata giù». L’unica speranza resta l’Europa, una risposta «forte». Ieri ha parlato la segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric. Il ritiro «è un enorme passo indietro» che compromette la protezione delle donne «in Turchia, in Europa e anche oltre», in quanto «la Convenzione è considerata lo standard internazionale». Erdogan sembra però convinto di poter imporre il suo di standard, nella politica estera e anche nei diritti.

LA STAMPA

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