Alexi e il domino del razzismo. La folle giostra americana
Se state per leggere questo articolo, una precauzione: prendete un analgesico altrimenti ne uscirete con il mal di testa.
Alexi McCammond, pochi giorni dopo avere assunto la direzione di Vogue Teen, è stata licenziata per dei tweet di dieci anni fa, quando aveva diciassette anni. Accusa: razzismo e sessismo. Non so qui se sia il caso di sottolineare che McCammond non è Wasp, cioè non è bianca, anglosassone, protestante, cioè non appartiene alla classe sociale-etnico-culturale considerata la culla del suprematismo bianco. Dico quello che non è perché non so dire quello che è, non so quali termini siano politicamente accettabili per definirla, e per non correre il rischio di essere arruolato d’ufficio nel Ku Klux Klan. Ecco, il Ku Klux Klan: di sicuro non se ne direbbe McCammond un’affiliata.
Ripartiamo da capo. Alexi McCammond, ventisette anni, giornalista super emergente, premiata nel 2019 dalla National Association of Black Journalists e inserita da Forbes nell’elenco dei trenta Under 30 più interessanti d’America, viene promossa dall’editrice Condé Nast alla guida della rivista per adolescenti del gruppo. La Condé Nast ha qualche grana, e alla monumentale Anne Wintour, direttrice globale di Vogue, è toccato di scusarsi davanti alle proteste del Black Lives Matter per non aver preso nella dovuta considerazione la creatività dei neri. Alexi dunque è perfetta per rifarsi un’immagine. Nessuno purtroppo ricorda il casino di un paio d’anni prima, quando erano stati tirati fuori i tweet adolescenziali di McCammond. Aveva scritto “stupido professore asiatico” e delle mattine in cui ci si sveglia con “gli occhi gonfi da asiatici”, più altri in cui usava i termini gay e homo in senso dispregiativo. La giovane giornalista, travolta, cancella i tweet e se ne scusa attingendo al frasario classico di questi tempi, espressioni inqualificabili, atteggiamento imperdonabile e così via.
La faccenda sembra evaporare, anche perché McCammond trova il modo di traslocare nel grande mondo delle vittime. Succede che Charles Barkley, ex ala grande dei Philadelphia 76ers, dei Phoenix Suns e degli Houston Rockets, due volte oro olimpico, nel corso di un’intervista le dica “non ho mai picchiato una donna, ma se dovessi picchiarne una, picchierei te”. Barkley ha parecchi precedenti. Non gli piacciono gli arbitri donna e nemmeno il basket femminile (in questo seguito dalla stragrande maggioranza degli americani, almeno stando agli ascolti televisivi). Ma stavolta nemmeno il gigantesco ex cestista regge all’urto. Volevo essere divertente e non lo sono stato, dice, non ci sono giustificazioni, mi sono fatto strumento della dilagante cultura della misoginia a cui sono estraneo, me ne scuso profondamente eccetera eccetera.
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