Un’occasione per salvare la repubblica

Massimo Cacciari

Come spesso mi accade in momenti in cui mi sento sedotto da pensieri vanamente pessimistici mi reco da un vecchio amico, maestro di realismo e disincanto. Sì, la situazione è catastrofica, mi dice. Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria. Ma questo è bene. Il mondo è in fondo una vera repubblica, dove tutto è vita, dove nulla riposa, dove il conflitto stimola intelligenza e creatività. Dove il sentimento della libertà (poiché più di un sentimento la libertà certo non è) può far compiere prodigiose imprese. Pessima non è la catastrofe, ma la sua coscienza, ovvero il modo in cui la si affronta. I mutamenti di stato – quando, cioè, uno stato va rifondato – non ammettono pallide ragionevolezze, tattiche di adattamento, estenuanti rinvii. Tutto questo può anche funzionare quando sussista un equilibrio e i rapporti tra interessi, funzioni, organi dello Stato siano “ben temperati”.

Oggi mi pare – per quanto possa capire dall’eremo in cui mi hanno costretto – la situazione è opposta. Occorre realismo nell’analisi, occorre ragionare lungo il percorso della rifondazione. Ma senza impeto non si andrà da nessuna parte. Sono anni decisivi, mio vecchio amico, ed è contraddizione in termini voler affrontare anni simili pensando di poter non decidere, non tagliare col passato. Vedo addirittura che ci si ricompone tranquillamente senza neppure chiarire le ragioni che avevano portato a clamorose rotture. Quasi appunto fosse una virtù evitare il confronto, che è sempre, se davvero tale, polemico, e fingere che una finta unità sia il bene supremo. Vi sono momenti nella storia in cui le nature “respettive” possono funzionare egregiamente, quando si tratti di consolidare lo Stato; il nostro dovrebbe essere piuttosto quello delle nature “impetuose”, poiché non c’è davvero nulla, temo, che valga la pena consolidare.

Lei sa che quando dico impeto non dico leone, non dico animale, non dico lasciarsi trascinare dalle passioni di certuni, dall’odio, dall’invidia, dall’avarizia. Dico l’opposto: impeto virtuoso per fare finalmente la repubblica che manca – e impeto perciò intelligente, capace di tattica astuta, ma che mai perda di vista il suo fine: innovare davvero, creare un organismo politico che oggi non c’è. Oggi le membra di questo Stato sono corrotte. Anche i corrotti ci sono, lo so bene. Ma non sono loro ad aver rotto queste membra, anche se hanno validamente collaborato a tale ignobile fine. Esse si sono rotte perché la natura stessa insegna che un organismo decade, si spezza e alla fine crepa se non viene continuamente trasformato. Il nostro Stato non ha saputo farlo, non ha avuto “prìncipi” in grado di mantenerlo vivo trasformandolo.

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