Enrico Letta: “Alleanza con i 5S, ma da loro niente veti. In Parlamento due donne capogruppo”

STEFANO TAMBURINI

È molto più che una mezza rivoluzione, quella lanciata dal neosegretario del Partito democratico, Enrico Letta. In questa intervista pubblicata dal Tirreno traccia una serie di punti chiave che ridisegnano strategie e dettano nuove linee che, specie nelle periferie, sono destinate a cambiare il volto a un partito in mano a troppi personalismi, a circoli tenuti in piedi per carriere personali.

Ci sono tre linee fondamentali di azione. La prima è il riguardo assoluto verso i giovani ma con un patto di solidarietà per gli anziani. La seconda è lo stop al maschilismo della politica, con il conseguente riequilibrio nelle cariche interne, con due nuove capogruppo al Senato e alla Camera al posto di Andrea Marcucci e Graziano Delrio. La terza, la sostenibilità dello sviluppo con un’azione concreta che parta dalle esigenze reali, con la creazione di lavoro, di opportunità. Il tutto con una politica che torna a gestire il cambiamento e non a subirlo.

A un politico che torna dopo sette anni viene subito da chiedere cosa abbia fatto nel frattempo? Di sicuro non è «andato a letto presto» come Robert De Niro in “C’era una volta in America”.
«Certo che no, sono andato a dirigere la Scuola di Affari internazionali dell’Università Sciences Po di Parigi. Ma ho continuato a seguire le vicende italiane. Peraltro ho ricominciato a fare la campagna elettorale nello scorso settembre proprio a casa mia in Toscana. Ho ritenuto importante dare il mio contributo quando si è avvertito il pericolo che, alle Regionali, la Toscana potesse scegliere la leghista Susanna Ceccardi, una che veniva dal mio territorio. Io sono cresciuto fra Pisa e San Giuliano, lei è di Cascina. È stato un piccolo contributo, il mio, ma in politica conta anche la somma di piccoli impegni».

Nel frattempo era stato invisibile.
«Dall’estero le cose si vedono meglio. Questi sette anni passati insieme con i giovani di tutto il mondo mi hanno aperto gli occhi su alcune necessità. Alla fine posso sintetizzarle con tre titoli: i giovani, la questione femminile, la sostenibilità dello sviluppo».

Cominciamo dai giovani. Ha subito giocato la carta del voto ai sedicenni.
«Il mio partito vuole parlare giovane. Anche il mio staff sarà formato da quattro studenti universitari che mi porto dietro dalla scuola parigina, sono cresciuti con me e io sono cresciuto con loro. È uno scambio. Ho capito, stando con loro, che il voto ai sedicenni è una dimostrazione di fiducia, una mano tesa».

E passiamo alla parità di genere. Il Pd veniva dalla burrasca della scelta dei ministri del governo Draghi: tre su tre, tutti uomini.
«Appunto, io non posso immaginare che nel nostro partito ci siano solo volti maschili al vertice. Non possiamo essere quelli con uomini al comando e donne vice, quando va bene. Servono leadership mischiate, specie adesso che in Europa ci sono Angela Merkel, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde. Per me questo è un passaggio chiave». (…)

Lei ha subito rivolto un pensiero «ai centomila morti e al mezzo milione di italiani che hanno perso il lavoro, a loro noi guardiamo cercando le migliori soluzioni per il loro futuro». Come dare concretezza a queste parole?
«La migliore risposta è arrivata venerdì con il Decreto Sostegni del governo Draghi. Perché interviene sulla protezione del lavoro per chi lo ha perso e per chi lo sta perdendo. Ora dobbiamo fare in modo che non ci vogliano mesi prima che chi deve averli veda i 2.400 euro, questo è un passaggio fondamentale».

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