Letta e il partito che ha paura delle donne

Francesca Schianchi

Nove giorni. Tanti sono bastati al Partito democratico per risvegliarsi dal clima di finta concordia inaugurato domenica 14, il giorno dell’elezione a segretario di Enrico Letta, e tornare alle consuete guerricciole per bande. Tanti sono bastati per rinnegare la volontà – spesso proclamata, altrettanto di frequente tradita – di riequilibrare la presenza di genere in posti di responsabilità e potere. E’ stato sufficiente che il leader appena richiamato dal suo esilio francese dicesse a chiare lettere quello che da giorni si sussurrava – chiederà un passo indietro ai due capigruppo di Camera e Senato, Delrio e Marcucci, e lo farà per proporre che siano due elette donne a prendere il loro posto – per scatenare nel partito una tensione sbalorditiva.

Riunioni, conciliaboli, i due diretti interessati che adottano una linea diversa – Delrio mette a disposizione il mandato, ma nelle mani del gruppo parlamentare, Marcucci si chiude in un silenzio rotto ieri sera dalla sua corrente, Base riformista, per confermargli fiducia. La vigilia dell’incontro di stamane del segretario con i gruppi Pd di Camera e Senato passa così, tra bracci di ferro dietro le quinte e ipotesi di rinvio del voto, una solerzia che ci si aspetterebbe applicata a più nobili cause. Uno spettacolo non edificante, energie sprecate appresso alla fatidica poltrona – mai come in questo caso l’abusato termine è calzante – mentre tutt’altre sono le priorità. E il rischio che, a soli nove giorni all’incoronazione bulgara del segretario, già il partito gli riservi la prima trappola, una riedizione in miniatura dei 101 che bocciarono Prodi e pugnalarono alle spalle Bersani, se dal voto a scrutinio segreto anziché i due nomi femminili invocati dal leader uscissero ancora una volta Delrio o, più probabile, Marcucci.

Eppure, a parole sono sempre tutti d’accordo sulla necessità, soprattutto al loro interno – nel partito che ambisce a essere portabandiera del progressismo italiano – di promuovere talenti e capacità femminili. Ieri è stato lo stesso Letta ad ammettere amaramente che “la squadra del Pd è una squadra di tutti maschi”. E’ passato appena un mese dalla (giusta) polemica sull’assenza di ministre donne del Pd nel governo Draghi, ferita solo parzialmente risanata con la nomina di cinque donne sottosegretarie su sei. In quei giorni recenti, è stato tutto un fiorire di dichiarazioni di intenti, e ammissioni di errori, e bisogna fare di meglio: il problema è quando dalle parole tocca passare ai fatti.

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