Dantedì, il 25 marzo 1300 iniziava il viaggio oltremondano del Poeta
Ernesto Ferrero
Con il Dantedì, il giorno scelto per celebrare la presunta data d’inizio del viaggio oltremondano, il 25 marzo 1300, il Sommo Poeta ritorna con tutti gli onori sugli altari del culto nazionale che gli è dovuto nel settecentenario della morte. È un’iniziativa che ci allinea ad altri Paesi, giustamente intenti a tenere viva la presenza di autori fondativi che spesso coincidono con l’identità della nazione, da Shakespeare e Cervantes in giù.
In Italia il culto di Dante è ripreso con vigore nella seconda metà dell’800, che ritrovava orgogliosamente in lui non soltanto il profeta dell’Unità, ma il fondatore di una lingua che per secoli ha rappresentato il cemento ideale, la ragione stessa di un’unione tanto difficile da realizzare quanto imprescindibile. Fiorivano le pubbliche letture, si moltiplicavano commenti sempre più dotti e approfonditi. Ma non meno rilevante è stata la fruizione popolare. Non era infrequente trovare nelle campagne toscane contadini che sapevano a memoria la Commedia, vissuta come un patrimonio famigliare di bellezza e di sapienza, e pazienza se non si capiva tutto. Un Dante posseduto con il cuore, prima ancora che con la mente.
Nel furioso corpo a corpo con un tempo che è il suo, ma è diventato quello di tutti, Dante è narratore potente, capace di concentrare in pochi versi vicende diventate archetipi, chiavi universali per raccontare la storia umana. Valga per tutte quella di Ulisse. È a Dante che Primo Levi si aggrappa nel Lager per non soccombere alla disumanizzazione in atto. Perché è più che mai consigliabile un uso massiccio di Dante, non meno indispensabile dei vaccini? Quale senso pratico dare ai centenari, all’obbligatorietà delle celebrazioni? Cominciamo col dirci che di quello che fa la grandezza di Dante abbiamo metabolizzato assai poco. Non abbiamo le sue curiosità enciclopediche, tanto più stupefacenti perché sviluppate in un’epoca in cui il sapere era difficilmente accessibile. Abbiamo trasformato la sua passione politica, agitata da uno pneuma visionario, nella triste pratica di un sottogoverno spicciolo, gestito da mediocri comitati d’affari, incapaci di guardare al di là del trimestre e dell’egoismo più cieco.
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